Thursday, December 27, 2007

La fede di Dalla

Accenti quasi fondamentalisti (nel senso che si rifà ai fondamenti, quelli della fede), nell'intervista di Lucio Dalla alla rivista online Petrus (che non è Petraeus, il generale americano).

"Papa Benedetto XVI ha dimostrato ancora una volta di essere un grande e fine intellettuale. Qualche ‘bello spirito’ vuol farlo passare per nemico della ragione, ma il livello della sua catechesi è così elevato da sfuggire a quelle menti che ricercano, nel mondo attuale, solo l’insulto. Il Papa afferma, saggiamente, che fede e ragione devono e possono essere amiche e che non sono affatto categorie contrapposte. Io la penso come lui".

Vedi l'intervista completa.

Sunday, December 16, 2007

Queste giornate

... mi scorrono addosso con noia e fastidio. Sono stanco, a corto di idee, a corto di emozioni vivificanti, di pensieri che vadano al di là della meccanica programmazione del prossimo pasto. Capisco che sono in crisi quando presto troppa attenzione a quello che mangerò per cena, quando la dispensa diventa il centro delle mie preoccupazioni. Un anno fa si consumava un innamoramento intenso e fulmineo, bruciava nel buio della notte americana. Oggi l'amore sembro essermi dimenticato che cosa sia, questa tragedia che mi è capitata addosso è stata come un soffio di vento secco che brucia tutto. Mi affanno a riempire il futuro prossimo di cose e cosette, programmi, mestieri: impegni, articoli, libri, corsi, spostamenti. Ma sono appunto inezie, suppellettili dello spirito.

Dentro, questa desolazione... questo lungo inverno.

Tuesday, December 04, 2007

La fede di D'Alema

"Non sono cattolico, ma avverto il fascino della fede". Così il Ministro degli Esteri Massimo D'Alema. Che dice no al matrimonio omosessuale "per non offendere il sentimento religioso degli Italiani". Lentamente ma inesorabilmente, ecco l'outing spirituale di tanti nostri uomini politici della sinistra.

Monday, November 26, 2007

La fede di Blair

"In Gran Bretagna se parli di fede religiosa la gente ti prende per pazzo". A parlare è Tony Blair, ex primo ministro inglese. Da tempo si attende l'annuncio ufficiale della sua conversione al cattolicesimo (per Pasqua, forse); ora però Blair afferma una cosa ulteriore e sacrosanta sul laicismo aggressivo che il "modello inglese" esporta in Occidente. Lontana mille miglia dalla laicità americana - neutrale rispetto a quale opzione religiosa il singolo intraprende ma fiduciosa e rispettosa verso l'esperienza religiosa in sé - la laicità europea nel nostro tempo si pone in contrasto con la religione, desidera espellerla dal campo delle scelte praticabili. Dio non c'è, e se c'è non entri nell'azione umana. Ha ragione Giulio Tremonti: questa è la Londra edonista e disincantata del XXI secolo, e le braccia spalancate disegnate dal colonnato di San Pietro ci dicono qualcosa di diverso e più bello.

Saturday, November 24, 2007

Ogni maledetta domenica

Mattinieri di tutto il mondo unitevi! Domani, domenica 25 novembre, a partire dalle 6.45 sarò ospite della trasmissione Notizie Oggi, su Canale Italia, condotta da Luigi Bacialli. Per chi la domenica mattina a un orario così infame rifiuta la banalità del dormire nel proprio lettuccio, per chi pensa che alle 6.45 c'è spazio per la riflessione e l'approfondimento, per chi volesse semplicemente constatare l'entità delle mie occhiaie violacee, beh, sono qua.

Friday, November 23, 2007

Premonizioni

Pagine, estratti dal mio diario personale. La notizia della malattia di mio padre ci è stata comunicata il 12 settembre...

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6 luglio - sera

Sento salire una profonda tristezza, una melanconia, la sensazione che sia tutto così superficiale e vacuo.
Questa sera è così triste.

16 luglio – mattina

Sogno. Sto mangiando una mela, ma ad un tratto mi accorgo che ha un buco che la attraversa da una parte all’altra. Allora la taglio a metà lungo il buco, e capisco che c’è stato un verme, che ha lasciato delle scanalature ravvicinate lungo tutto il suo passaggio.

18 luglio – notte

Ho camminato sotto il sole di un pomeriggio caldissimo e sono veramente fuso. (...) Vado a letto anche stasera un po’ inquieto. Ci sarà tempo e occasione di sbrogliare ancora la matassa. Notte…

29 agosto – mattina

Sogno. Sono in una grande città e devo andare al comitato elettorale di Sarkozy, forse perché ci lavoro non ricordo. Sono in macchina con papà. Scendo un attimo mentre lui va a parcheggiare. Dopo pochi minuti mi vengono a dire che lui ha fatto un incidente: corro da lui, sta morendo, gli si sono bucati i polmoni e gli è anche successo qualcos’altro che non ricordo.

5 settembre - pomeriggio

Sono come sospeso… Ci sarà ancora tanto da fare, nel mio futuro, ci saranno goffaggini e cadute e risalite.
Sarà dura. So che sarà così ma penso di avere la forza e la volontà di farcela. Io non mi sono mai rassegnato allo squallore e al male.

7 settembre - sera

Da ieri mi tiro dietro questa struggente malinconia. Ho fatto le cose che dovevo fare – esame, spesa, biblioteca questo pomeriggio – tutto bene, e tutto con addosso come un senso impalpabile di autunno, di smarrimento… Ho pensato fosse per quella cosetta con Andrea, ma è una scusa da quattro soldi, perché anche se con lui ci può essere qualche fastidio si tratta appunto di cose di poco conto (...). C’è qualcosa di più e diverso e per ora non capisco che cos’è.

9 settembre - sera tardi

(...) Volevo staccare così, e invece sento di avere ancora qualcosa da scrivere. C’è un peso intrappolato dentro di me di cui fatico a liberarmi, una rivelazione, uno scoppio che non si palesa. E’ vero, ma che cos’è?

11-set – pomeriggio

(...) Sono molto stanco, e dolorante. Digerisco male e sento come una febbre che mi vuole salire su ma che finché non avrò concluso il mio lavoretto non può farlo. Dopo, molto probabilmente, mi ammalerò.

Wednesday, November 21, 2007

Rupture all'italiana

Come dovremo chiamarci d'ora in poi? Libertisti? Populisti? Popularliberisti? Su www.forzaitalia.it è già cominciato il referendum sul nome del nuovo partito di tutti noi che più semplicemente ci siamo sempre chiamati berlusconiani. Anche e soprattutto ora che il Cavaliere ha rotto gli indugi e sembra volersi disfare delle solite figure mediocri e ambiziose che gli stanno intorno, dei loro tatticismi senza strategie, delle loro manovrine senza cuore e senza cervello (svelate con amara esattezza dall'ultimo libro di Alessandro Giuli, Il passo delle oche).

Il percorso simmetrico della destra e della sinistra italiane, in questo frangente un po' surreale, porta entrambe a confrontarsi con il proprio lato conservatore e inconcludente, e a misurarsi con la possibilità che i due opposti riformismi possano andare avanti da soli, ciascuno sulle proprie gambe, senza (troppe) zavorre comuniste e democristiane.

Non so quanto questo bel sogno potrà avverarsi davvero: in fondo siamo in Italia, il paese bello e stupido dove tutto alla fine non cambia mai. Intanto però noi berlusconiani ci gasiamo ancora una volta per l'ennesima avventura del nostro profeta laico, e il suo strano Partito o Popolo della Libertà, tra i Brunetta e le Brambilla, i Sacconi e le Prestigiacomo: insomma, nani e ballerine, o, più propriamente, geni e puttane.

Monday, October 29, 2007

Il dopo-voto. E adesso?


I cortinesi hanno scelto: è un sì. Ma a che cosa?


Domattina, dalle 6.45 alle 8, sarò ospite della trasmissione di Canale Italia Notizie Oggi, condotta da Luigi Bacialli, per fare il punto della situazione dopo il voto referendario che ha visto prevalere con grande nettezza la volontà di congiungersi alla provincia di Bolzano. Per gli eroi che si alzano così presto - per studiare, per lavorare, per guadagnarsi il pane insomma - ci vediamo domani.

Sunday, October 28, 2007

Cultura e identità: domande impellenti, risposte ambigue



A Cortina d’Ampezzo in occasione di un referendum ci si interroga sulla propria “identità” ladina, in Germania si attenua una condanna per stupro in nome della “cultura” tradizionale sarda.
Su Agenda Liberale, rivista del Centro Einaudi, è online un mio intervento sul tema.

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Friday, October 26, 2007

Federalismo e identità: a Cortina referendum su un equivoco

Si vota domenica a Cortina, si vota a favore o contro l'Alto Adige. I cittadini cortinesi e i loro colleghi di Colle Santa Lucia e Livinallongo dovranno esprimersi su quello che in realtà è un grande equivoco. E' per i soldi o per l'identità che si va a votare? Ci si esprime sulla necessità di avere le stesse agevolazioni economiche del Sudtirolo o sull'affiliazione "etnica", cioè di sangue (parole testuali dei promotori del referendum) con i "cugini" della provincia di Bolzano?
Su questa ambiguità di fondo si è giocata la campagna grintosa e martellante del comitato del sì: votate perché siete, siamo ladini; oppure, se così non fosse, votate comunque, per "lanciare un segnale". In questo modo si spera di portare a votare anche chi ladino non lo è affatto, ma è stufo di una legislazione punitiva e poco vantaggiosa per Cortina e i comuni montani della provincia di Belluno.

Ma non è con le secessioni disinvolte e menefreghiste, né tantomeno con le semplificazioni e le generalizzazioni identitarie, che si costruisce il futuro di una piccola comunità che ha avuto il merito grandissimo di mantenersi tutto sommato unita e armoniosa lungo le vicende della storia recente. Armonia e unità che sono scomparse in questi mesi a Cortina, sostituite da un brutto senso di intimidazione e di sospetto: scritte che compaiono sui muri, parole minacciose, e di nuovo quel senso di vergogna, da parte di coloro che voteranno no, quel voto celato e non confesso, da portare nella tasca della giacca e da depositare in fretta nel segreto dell'urna.

Io che sono cittadino cortinese ma a Cortina sto solo per brevi periodi dell'anno, non ho alcun pudore referendario: voto e faccio votare no. Dico una cosa che di questi tempi è scandalosa: mi sento cortinese, veneto e italiano. Tutte e tre queste cose insieme. Probabilmente ci sono tanti altri che la pensano come me. Sperando che ancora una volta la dea delle elezioni ci grazi con la proverbiale maggioranza silenziosa.

Thursday, October 25, 2007

Un po' di round-up sulle primarie americane

1) Negli USA va molto di moda in questi tempi il dibattito sulla "spilla-bandiera". Cioè la spilletta da tenere ben in evidenza sul petto con il vessillo americano stilizzato. Chi la porta e chi no: Barack Obama (candidato alle primarie democratiche), ad esempio, ultimamente non ce l'ha più. Il 17 ottobre, al Jay Leno Show, ha dichiarato: "l'ho portata a lungo dopo gli attentati dell'11 settembre, poi quando l'ho persa non l'ho più sostituita". Scusante: "molti politici la indossano ma poi si comportano in modo anti-patriottico".

2) La settimana scorsa il governatore nero e democratico del Massachusetts, Deval Patrick (la cui trionfale elezione nell'autunno '06 era stata seguita su questo blog), ha reso esplicito il suo appoggio per Barack Obama. E' al tempo stesso una mossa prevedibile e rivoluzionaria. Prevedibile perché il giovane e nero (per quanto non afroamerican, ma soltanto afro) Obama è il candidato più naturalmente vicino a Patrick; rivoluzionaria perché nel gioco delle correnti della sinistra americana ci si sarebbe aspettati che dal Massachusetts bianco, atlantico ed elitario venisse un netto supporto a Hillary. E invece.

3) E' noto: nella difficile situazione dei Repubblicani in vista delle elezioni del 2008, c'è grande incertezza tra i christian conservatives americani su quale sia il "loro" candidato alle prossime presidenziali. Rudy Giuliani? Troppo liberal. Sam Brownback? Mike Huckabee? Troppo ininfluenti. Mitt Romney? Troppo banderuola. Così nella destra religiosa c'è chi pensa di correre da soli, con un proprio candidato. La proposta è emersa durante un incontro dei conservatori a Salt Lake City. "Errore fatale", risponde Huckabee: "così favorite Hillary, anzi, le garantite l'elezione". Che è peggio.

4) La senatrice democratica del Missouri Claire McCaskill, quella che si era resa nota sempre nell'autunno scorso per le posizioni di grande apertura sulla ricerca sulle staminali (ricordate lo spot elettorale di Michael J. Fox?), adesso punta sugli scandali nella capitale, Washington D.C.. Oggetto del contendere sono i line-standers, cioè privati cittadini pagati dai lobbisti per mettersi in coda. Cioè: siccome ottenere un posto in prima fila nelle aule dove si svolgono i dibattimenti che coinvolgono gli enormi interessi delle lobby è considerato prioritario, ma siccome stare in coda tra le 10 e le 20 ore è davvero un po' troppo, i lobbisti hanno preso l'abitudine di pagare qualcuno (circa 10 $ all'ora a quanto pare) per tenere loro il posto. Ma per la senatrice McCaskill questo è troppo, è offensivo e ingiusto. Tutti siamo uguali davanti alla legge: quindi anche i lobbisti devono mettersi in coda di persona. I più avveduti dicono però che il provvedimento della McCaskill non passerà mai...

Monday, October 22, 2007

Napolitano sempre peggio

Sembrava niente male, a febbraio scorso, l'inizio di settennato di Giorgio Napolitano. Il presidente della Repubblica aveva usato parole decise sull'antisemitismo moderno travestito da antisionismo, in occasione della giornata della memoria, e poi il 10 febbraio quelle parole sacrosante, in bocca a un post-comunista, sulle foibe e le responsabilità slave. Poi però ha preso una brutta piega, specialmente questo autunno: un Napolitano sempre più bacchettone e pedante (soprattutto su vicende di pochissima importanza, vedi il caso Storace), e poi sorprendentemente debole, quasi connivente, con le trombe idiote dell'antipolitica e i vari vaffanculo nichilisti e - quelli sì - antiistituzionali. Ora arriva la strizzatina d'occhio ai magistrati militanti: "preoccupato" sul caso De Magistris, Napolitano fa sapere che "vigila" sull'autonomia della giustizia.

Si aggira lo spettro di Scalfaro, uomo di destra DC quanto Napolitano è di destra PCI. Sono lontani i tempi della retorica fanfarona ma innocua di Ciampi. Insomma aveva ragione chi, un anno e mezzo fa, chiedeva a gran voce l'elezione di Massimo D'Alema.

Saturday, October 20, 2007

Dal vostro corrispondente in Nordest

Roma: - L'hai poi trovato quell'outlet che cercavi?

Padova: -Sì ma non era un outlet, ma un magazzino per Veneto opulento con roba stupenda a prezzi altissimi. Cose che succedono solo qua

R. - Meraviglia. Come si chiama? Chiederò a Camilla

P. - Sorelle Ramonda, è una catena. Quella dove ero io sta a Montecchio tra Verona e Vicenza. Distretto delle cuoierie

R. - Immagino donne in spider che guidano sicure su quelle strade...

P. - Più o meno

Thursday, October 18, 2007

Tre riflessioni sul Pd

1) L'istituto ISPO di Renato Manheimer (non esattamente un rivale del Partito Democratico, vista lo smaccato supporto che gli ha tributato attraverso le colonne del Corriere negli ultimi sei mesi) ha pubblicato una serie di sondaggi che tentano di dare un volto al "popolo delle primarie" (numeri reali: dagli 1.8 ai 2.5 milioni di elettori). In uno di questi studi i votanti per ciascuno dei candidati principali vengono suddivisi per fasce d'età. Viene fuori che Veltroni va forte tra i 35-54enni (cioè sessantottini e post-sessantottini) e non se la passa affatto male tra gli over 54, che costituiscono la metà esatta del suo elettorato. Solo un elettore su otto (!) ha meno di 35 anni. Viceversa, quasi un terzo degli elettori di Bindi e Letta sono giovani sotto i 35, mentre entrambi questo candidati non raccolgono granché nella fascia 35-54, che personalmente ritengo la più ostile al rinnovamento ideologico di questo Paese. Non è un gran buon inizio per Walter.

2) Ieri a Otto e Mezzo si è parlato del processo a Totò Cuffaro. Non entro nel merito della sua vicenda politica né tantomeno in quella giudiziaria. Solo un'osservazione: dispiace vedere il numero due del Pd siciliano farsi interprete così zelante delle istanze della magistratura rossa, con i soliti toni agiografici che ci riportano al brutto biennio '92-'93. Spiace perché speravamo che dal Pci-Pds-Ds si fosse passati davvero a qualcosa di nuovo, e invece non è così; e siamo ancora qua a chiedere il solito ricambio generazionale, che in Italia, a quanto pare, è l'unico modo per risolvere i problemi.

3) In questo quadro non proprio brillante la cosa più carina e pittoresca sono stati i "tre giovani elettori" che come riferiva il lancio ANSA di domenica 14, ore 15, si sono recati da Reading in treno fino a Londra per votare Veltroni. La notizia non era del tutto chiara e non si è capito bene se siano riusciti a votare oppure no; ma comunque bravo a Riccardo, che è un mio amico e collega di blog e di università, e ai suoi colleghi, per la loro passione politica spinta quasi al masochismo. Speriamo si dimostrino un po' meglio della loro mediocre leadership. Io intanto li ho salutati con simpatia dagli schermi di Canale Italia, e per tutta risposta mi sono beccato i rimbrotti di un "giovane" che asseriva di avere fatto il '68, e che mi ha rimproverato di essere connivente con le "sette sorelle" del capitalismo. (?) Magari!

Sunday, October 07, 2007

In Borgogna, il cuore di Francia e d'Europa che ha perduto la memoria

Weekend a Digione. Si mangia male. Come mi avevano avvertito, il cibo per noi popolani è mediocre e costoso. Tranne che i formaggi ovviamente. Per il resto, una cascata di panna su tutto, sulle zuppe, sulle torte salate, persino sulla carne.
Quest'oggi abbiamo fatto la Route de Vins della Borgogna meridionale, una bella coperta di tessere gialle e arancio stesa sulla campagna lieve, monotona, della Francia centrale. Solo in Piemonte c'è in Italia un paesaggio simile, perché l'Appennino è più brioso, più minuto e insofferente delle grandi distanze, e là le colline ostacolano lo sguardo, rendono ogni scorcio una piccola corte naturale. Qua i vigneti si stendono pigri all'orizzonte e di quando in quando un "castello" vi trova spazio: castello tra virgolette, perché si tratta di belle dimore nobiliari di tempi in cui più che difendersi dal nemico ci si preoccupava già di godersi la vita. Delle ville romanticamente ispirate ai castelli medievali insomma. Vicino a Nuits giriamo qualche tornante tra le vigne e mi casca l'occhio sull'uva abbondante e sontuosa. Mi fermo, salto giù dalla macchina, rubo un grappolo. Ha gli acini piccoli, blu scuro, dolcissimi. Li succhio svelto e un po' avido. Passano due ragazzini in bicicletta - appellons la police! - scherzano. Torno su in fretta, metto in moto e li rincorro, la police, la police! gli faccio eco dal finestrino mentre gli sfreccio accanto. Il sole ci bacia. E' tutto un oro e un vermiglio.

Molte chiese, poche messe. Alle sei vago per Beaune in cerca di una funzione, ma niente, nella cattedrale solo un paio di celebrazioni alla mattina. Per il resto, tante chiesette dimenticate, portoni chiusi, sbarrati. A venti chilometri da qui è nata l'abbazia di Citeaux, a quaranta Cluny: eppure... Il Signore perdonerà mi dico: questa terra ha dimenticato come si faceva a pregare molto tempo fa, quando hanno cominciato a sconsacrare i loro antichi luoghi di culto e a trasformarli in "monumenti nazionali", come recitano i cartelli tricolori (quando va bene) oppure in gallerie d'arte contemporanea e in negozi di pashmine, quando va male.
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Appunti di viaggio. Le case in Francia, come il cibo, parlano di un passato tormentato. Fino al Quattrocento architettura e gastronomia rispondevano tuttalpiù ai bisogni immediati: un letto, un tetto, un campo, un piatto di cibo. Si mangiava più o meno quel che si mangia in Germania, zuppe e arrosti pieni di grassi animali che scaldassero; si viveva in quelle graziose casette coi muri a colombage con l'ossatura in legno, come quella da cui è ricavato l'albergo da cui scrivo - così schiette, rustiche, accoglienti come erano i tempi medievali che le avevano partorite. Poi viene il Rinascimento, la Ragione che tutto ordina. C'è un grande auto-disciplinamento, le case cambiano stile e si fanno austere, signorili, fredde: cambiano i materiali, dal legno alla pietra grigia, cambia l'aspetto e l'intenzione, cambia lo spirito. La cucina è riformata dagli echi italiani, il cibo sofisticato che usa al di là delle Alpi; ma con gli usi e i materiali ancora germanici e un po' barbari a farle da sostrato (di qui l'abuso di panna). Da cucina per vivere diventa cucina per gustare, per apprezzare, per stare bene. Questa è la modernità francese, che ha qualcosa di traumatico e di brusco rispetto alla nostra dolce e gentile scoperta della "maniera moderna", sostenuta e ammorbidita dalle rimembranze del passato romano. Questa è stata la loro prima, fondamentale rivoluzione.

Thursday, October 04, 2007

Cortina e il referendum

Bolzano dice "no" alla richiesta dei comuni dell'altopiano di Asiago di passare col Trentino Alto Adige. E adesso cosa succede a Cortina?

Ne parlerò stasera in collegamento telefonico durante la trasmissione di Luigi Bacialli, in onda su Canale Italia a partire dalle 19.

Wednesday, October 03, 2007

La Turchia e i conti col passato

Agenda Liberale, rivista online di approfondimento del Centro Einaudi, pubblica oggi un mio intervento sugli ultimi sviluppi politici in Turchia e la necessità di riconciliare passato ottomano e modernizzazione kemalista.

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Tuesday, September 25, 2007

Viaggiare è un po' fuggire

Sono partito un'ora fa dalla solita Venezia piena di innocui barbari slavogermanici, scollacciati e paonazzi per il sole e per lo sforzo. C'era il sole di settembre a dare una luce tiepida e affettuosa a tante belle ragazze. Un amico mi ha ricordato le parole di una canzoncina dei 70s, "ho incontrato un miracolo", e abbiamo riso insieme, di miracoli ce n'erano parecchi, di figliocce solleticate dall'aria vacanziera, dal senso di evasione che fa loro dimenticare i tetri luoghi di provenienza.

Ora sono in treno e penso che è un po' una condizione esistenziale quella del viaggiatore, e che anche io mi sento davvero a mio agio solo quando mi sposto. A pensarci bene, l'idea della pendolarità che mi aspetta nei prossimi mesi non mi dispiace affatto. Non è il solito discorso di filosofia spicciola sul treno come luogo di incontro, sulla possibilità di comunicare con questo e con quello , gli sguardi tra viaggiatori eccetera (anche se forse pagare il biglietto della prima classe in Eurostar potrebbe rivelarsi un investimento, questo sì, perché a quanto pare si trova sempre qualcuno di importante). Il viaggio "passivo" che ti consente il treno è davvero un'isola felice di riposo, e l'evasione è un tratto fondamentale del mio carattere, che un po' combatto quanto posso ma a cui spesso mi devo rassegnare. Una fantasia ricorrente (da storico) è di fuggire come fuggirono i reali dalle Tuileries una notte del giugno 1791, furtivi, evanescenti, fuggire nell'ombra, invisibili, mentre alle proprie spalle gli altri si chiedono perché te ne sei andato, e resta in loro lo sconcerto, lo smarrimento, le domande senza risposta.

Poi c'è lo shock, lo shock barocco - anche questo è parte della fantasia - del riconoscimento reciproco: i reali vedono il popolo, il popolo scopre i propri sovrani. La visione dura della realtà che si palesa di colpo, cruda e asciutta. Quanto prima era etereo e indistinto diventa di colpo netto e inequivocabile, assume una sua solidità e un peso specifico, drammaticamente si rivela.

In un certo senso, questo momento di verità è un'allegoria della vita, e della crescita che aspramente la vita ci chiede: non possiamo sperare di stare troppo al mondo - in questo mondo - senza vedere, toccare, renderci consapevoli. E la cosa più difficile è restare in piedi dopo la presa di coscienza, non lasciarci travolgere dalla realtà ma accettarla e proseguire.

Il viaggio, così, finisce per rappresentare un'alternativa estrema quanto vana a questo gioco duro e inevitabile, una "involontaria rivolta dell'uomo presente alla sua fragilità". E' un momento di infanzia che risponde al bisogno di noi fragili individui di rimandare un poco, di sostare in mezzo al tempo, di arrotondare gli spigoli. Poi tornano le cose, con la loro presenza esigente e concreta; torna la vita, bisogna rialzare lo sguardo, e andare avanti.

Thursday, September 20, 2007

Grillo, la sinistra e l'eterna rivoluzione

Ha ragione Antonio Polito quando dice che in fondo il fenomeno del grillismo è una partita interna alla sinistra. Un gentiluomo del riformismo come lui evidenzia una cosa fondamentale della politica italiana, che la partita si gioca tutta tra riforma e rivoluzione, tra cambiamento e distruzione nichilista. La cosa ovvia è che in questo blog si tifa per il primo e si teme la seconda. La cosa meno ovvia è che su questo crinale il nostro Paese balla pericolosamente da quando è nato.

Il fascismo è stato il primo episodio della rivoluzione, intesa come condizione di non accettazione della rimediabilità del presente, di incapacità di modificarlo venendo a patti con le sue regole di funzionamento - cioè la democrazia. Si smonta tutto e si rifà. In questo senso va capito l'accostamento dei grillini al fascismo. Non si potrebbe certo definire il fascismo in toto come di sinistra, ma è vero che esso ha avuto un'ala rivoluzionaria che più strenuamente si è opposta a che il movimento venisse a patti con i poteri tradizionali (monarchia, grande finanza, movimento cattolico) ma anche con lo spirito borghese, e con l'indole pigra, passiva e in fondo tollerante dell'Italiano medio, col suo spirito di adattamento morbido alla realtà.

La carica rivoluzionaria è poi transitata per il P.C.I. (non a caso terra promessa di tanti transfughi fascisti di sinistra), ma anche per buona parte dell'M.S.I. (più Rauti che Almirante), per un certo socialismo di sinistra, e perché no, in modo certo molto diverso anche per Giannini e il suo Uomo qualunque. Tutte queste componenti avevano in comune una sfiducia di fondo nei confronti dell'uomo e del cittadino e quindi una pulsione rivoluzionaria. Come possa manifestarsi in movimenti così diversi, ci si chiederà. Non c'è da stupirsene: si pensi a Paolo Flores d'Arcais, che vuole la rivoluzione ma la vuole liberale, anche se rimpiange il Partito Comunista d'antan e giudica spazzatura il craxismo... O a Mani Pulite che andava da un cattolico di sinistra, intransigente, moralista, come Caselli, ad un gendarme come Di Pietro, ad un capopopolo come Bossi.

Grillo è l'ultima puntata della vicenda rivoluzionaria. Inutile ripetere che ogni rivoluzione ha in sé i germi del nuovo regime da instaurare, che ciò che la distingue dalla semplice rivolta è il carattere di attesa messianica di un nuovo ordine, di nuove regole da scrivere e quindi di nuove gerarchie - e che quindi non esistono i corrotti dal potere ed i puri, poiché essi il potere lo dovranno toccare e quindi sporcarsi. E si torna daccapo.

E' vero comunque che la partita è interna alla sinistra, che ogni volta che si trova ad affrontare delle sfide per quanto timide di rinnovamento (1989-92 col crollo del muro e la sfida portata dal riformismo craxiano, 1999-2002 col governo D'Alema e poi il movimento dei girotondi, 2006-07 con l'opzione aperta dal Partito Democratico, per quanto scialba) si trova con il pesante fardello dei rivoluzionari, degli oltranzisti che scalpitano, strepitano, reclamano, e in qualche caso purtroppo ottengono. Fino a quando?

Tuesday, September 11, 2007

Storia e cronaca dopo l'11/09. Una riflessione

Antonio Scurati coglie oggi sulla Stampa una caratteristica inquietante del nostro nuovo secolo da poco iniziato: la scomparsa della storia, divorata dalla cronaca. Il secolo ventesimo, conclusosi (hobsbawmianamente) col crollo del Muro, era nichilista nei contenuti ma epico nella forma, a noi invece non rimangono che le frattaglie, non meno nichiliste e distruttive però. Fin qui sono d'accordo, dal bianco o nero tragico e acuto del secolo trascorso siamo piombati in questa mesta scala di grigi, in questa atomizzazione devastante della vita quotidiana.

Poi però Scurati dice una cosa davvero difficile da condividere: che l'11 settembre non ha cambiato niente. Dichiara: "a molti parve che (...) la storia si rimettesse in moto quel giorno di grande lutto ma anche di grande speranza", e invece da sei anni a questa parte le cose sarebbero le stesse, i problemi e le difficoltà ugualmente banali e insignificanti.

Io nell'11 settembre non ho mai colto la speranza; semmai una nuova consapevolezza, che è cosa buona, e nuovi interrogativi angoscianti e dilemmi, questo sì. Il fatto che non siamo riusciti a trovare risposte universali a tali domande, e che probabilmente non ci riusciremo ancora a lungo, non significa che il nostro tempo non abbia subito una svolta radicale. Lady D, le 35 ore di Jospin, i concerti con Nelson Mandela e tutto la cianfrusaglia pop che allietava le nostre ore nel tempo postmoderno è defunta senza troppi funerali. Se adesso la riconosciamo come tale, e cioè roba vuota, senza spessore, è perchè la storia è venuta a bussare drammaticamente alla porta (come dice la bellissima citazione di Camus nell'intestazione di questo blog). Solo grazie a questa luce che è stata fatta sulle nostre sonnacchiose esistenze tardo-novecentesche bravi narratori come Scurati possono oggi cogliere il senso acuto della crisi. Prima non la vedevamo nemmeno. Eravamo confinati in un universo mondano e sofisticato, illusorio.

Vita, morte, barbarie, civiltà, identità, religione, terrore, speranza, fede: sono queste parole grandissime il nostro pane quotidiano, e se molto spesso nel dibattito pubblico soffrono di un uso strumentale che le rende banali e stucchevoli è anche vero che c'è chi, nel mondo laico e in quello religioso, non si arrende, e va alla ricerca di nuovi significati.
Il fatto è che ora siamo tutti più liberi, e con la libertà è venuto anche il caos, ma forse dal caos si può uscire...

E' per questo che non riesco a capire chi, come il mio professore di Storia Contemporanea, dichiara di non volere abitare nei nostri tempi, di essere "uomo del Novecento": come si può desiderare di tornare ad essere schiavi?

Thursday, August 23, 2007

"Quando mai!"

C’è un’altra serata fredda a Cortina, ci sono i soliti amici vecchi e nuovi, il solito chiassoso assembramento davanti alla Suite. Rumori familiari, volti noti. Stavolta è per il compleanno di Mara, c’è lei, ci sono io, ci sono gli altri, c’era Lorenzo prima, l’ho incontrato e ci siamo salutati come due vecchi estranei. C’è Chiara ora, “hai fatto qualcosa ai capelli”, le chiedo con un sorriso gentile, “quando mai” fa lei e ride. E’ carino il modo semplice con cui si è legata la ciocca scura in una coda sulla nuca, sta in piedi davanti a me col suo bicchiere, parliamo un po’, ma per qualche ragione le mie parole non attecchiscono molto, restano a un livello esterno, poco serio, scorrono fluide e traslucide. Ride sempre Chiara, rise all’inizio quando la paracadutarono a Cortina da Bologna perché la madre veniva a gestire un piccolo negozio, rise nei primi giorni di scuola insieme: lei coi suoi dolcevita verde scuro sul piccolo seno giovane, un po’ di trucco, a tredici anni già un fidanzato con cui fece l’amore e tutti gli altri giochini noti, noi coi grembiuli scuri, gli astucci della Invicta, qualche passo timido verso un mondo oscuro e complicato. Un abisso, uno stacco che il tempo certo avrebbe colmato, e in fretta, ma che non per questo pesava di meno, e che allora a noi pareva assoluto, invalicabile. La mattina passavamo sotto la tettoia di legno della scuola media, nella pioggia gelida, entravamo e guadagnavamo l’aula a metà del corridoio: ma insieme con i soliti adolescenti di paese ingenui e un po’ ruvidi ora c’era Chiara, disinvolta, loquace, spudorata. Ebbe Alessio, biondino con gli occhi da tedesco, che piaceva a una nostra amica, una sua amica. Glielo soffiò senza rubarlo davvero, lui tanto ci sarebbe stato soltanto con lei, che cos’erano quelle altre se non bambinette? Ci scherzavi con Chiara, ma lei era pungente, ti ricordava le tue debolezze, solleticava un difetto, tornava su una sciocchezza che avevi detto. Così, tanto per ridere, tanto per non pensare. Per due anni ci fu Chiara e noi, allegri imbecilli, noi e le sue smanie e i suoi capricci, te lo ricordi Chiara? Ora ride mentre nella piccola folla si sposta tra l’uno e l’altro, anzi sono gli altri che si muovono, le girano intorno, ma non è più come allora, il suo potere si è allentato. Le faccio qualche domanda. Ha faticato parecchio Chiara in questi cinque anni che ci hanno divisi: nella sua città, Bologna, sono successe delle cose, dice, cose brutte, e brutte persone. Quando ruppe con un fidanzato e finì con un tipo nuovo un’amica cattiva fece la spia col suo ex, e poi disse qualche bugia per aumentare il pettegolezzo. Quelli del giro bolognese cominciarono a scansarla, in breve tempo se li ritrovò contro. Prese venti chili in poche settimane. Un giorno davanti alle scuole bolognesi distribuiscono dei volantini anonimi: sopra ci sono scritte le vite private di tanti poveri diciassettenni, i loro intrecci, i peccatucci, le loro debolezze, così, spiattellati con crudeltà infinita, “Cinzia ha fatto un pompino a Mauro”, “Paolo ha tradito Monica con Camilla che ha dovuto abortire”, “Alessandra è anoressica”. Chiara… “Chiara è una puttana e ora è anche ingrassata”. Così, un colpo al cuore. Un giorno parla con un’amica al telefono cellulare davanti al portone di casa, sono le tre del pomeriggio, in una via del centro. Passa un motociclista, lei scosta il telefono dall’orecchio, “prego?”, chiede. Succede tutto in un attimo: quello tira fuori una pistola, gliela punta alla fronte. Vuole i suoi soldi. Lei non ne ha. Lui la minaccia. Non ho niente, non vedi, sono scesa perché in casa c’era rumore e non riuscivo a telefonare, non ho niente… Poi la lascia andare: “se gridi mentre me ne vado ti ammazzo, ti ammazzo sai”. Chiara scivola dentro casa, si accascia, sviene. Arriva un esaurimento e la depressione.
Poi, dice, se ne è tirata fuori. Ascolto la sua storia con interesse, aspetto la svolta che deve essere venuta… e intanto penso ai miei anni belli e difficili… che cosa ha da dirmi Chiara stasera?… forse questo dolore è servito a qualcosa… a un risveglio, non so… ci sarà stato un cambiamento, una conquista… so che ha aperto una ditta di moda… è stata brava… “Come ne sei uscita?”, le chiedo.
“Agopuntura nelle orecchie, metodo cinese. Sono andata da questo che mi metteva gli aghi sui bordi della faccia e intanto scriveva tutto quello che facevo. E’ stato fantastico. Io sai, sono una persona vera, credo nell’amore, non mento mai, è che ci sono gli ipocriti e gli stronzi nella vita”.

Certe volte sembra che le cose stiano per schiuderne delle altre, che dietro l’angolo ci siano delle verità, delle nuove consapevolezze, un percorso di vita, o semplicemente una buona storia da raccontare. Certe volte non c’è nulla di tutto questo, c’è solo una serata a Cortina fredda e insipida come sempre; e te ne vai sotto la pioggerellina con le tue scarpe da tennis umidicce, un po’ smarrito e un po’ indifferente, mentre gli altri dentro al bar brindano, come sempre, Lorenzo insegue sempre vecchi amici e vecchie fragilità, Serena pensa a come farà visto che le hanno dato lo sfratto. La mia piccola macchina grigia ora rumoreggia sull’asfalto buio e bagnato. Come sempre.

Wednesday, August 22, 2007

Un po' di gossip ampezzan-vacanziero

Siamo quasi all’ultima settimana di questo intenso agosto, e Cortina, o meglio il suo disinvolto aspetto vacanziero, continua a fare notizia. Prima sulle pagine del Corriere della Sera, che nell’edizione nazionale ospitava nei giorni scorsi un’intervista a Matteo Zoppas, giovane manager dell’azienda di famiglia. «Ai tempi dei miei genitori, c'era la loro Cortina», si è lamentato Zoppas. «Adesso c'è la Cortina di tutti. Mi irrita incontrare nei locali trentenni, quarantenni che giocano a chi spende di più. Questa non è ricchezza, è volgarità».
Sarà anche vero. Ma qualcuno sussurra: “già visto, già sentito…”. Almeno dai tempi della Dolce vita.

Intanto, c’è chi si diverte più di Zoppas: un fotoreportage del mitico Umberto Pizzi, apparso lunedì sul sito di gossip e politica www.dagospia.com, documenta le imprese estive dei coniugi Cisnetto, in trasferta con gli amici alla Malga Maraia di Auronzo per un sostanzioso pranzo di montagna. Titolo: “tutti a malga dove se magna coi Cisnetto’s”. Ospiti di rilievo: i nobili Rebecchini, D’Amelio-Memmo, Carignani, Marinello, politici come l’ex ministro Gianni Alemanno e il senatore Fisichella, giornalisti come Roberto Ippolito ed Egle Pagano. Molti dei convitati erano agghindati in vezzosi abiti tirolesi (non hanno seguito i consigli del presidente Cossiga, che dagli schermi del PalaLexus li aveva bollati come una carnevalata).

Le immagini più pittoresche immortalano in diversi momenti Enrico Cisnetto, calzoni alla zuava, calze rosse e cappellino della Sampdoria, mentre solleva la moglie Iole a bordo di una carriola. L’animatore degli incontri ampezzani si è anche divertito a prendere in braccio Nicoletta Ricca, della compagnia di riassicurazione Swiss Re, dagli eccentrici occhiali alla Lina Wertmuller. Didascalia: “Enrico Cisnetto con avvinghiata Nicoletta Ricca”. Ma c’è anche la posa azzardata di Maria Criscuolo del gruppo Triumph, alle prese con un pentolino di polenta. Poi, tutti a tavola: il menu, pappardelle al sugo di capriolo, formaggio alla piastra, maiale e pollo arrosto. FC

Tuesday, August 14, 2007

La lectio magistralis di Giulio Tremonti

Intanto metto il link, poi ci sarà tempo per ragionarci sopra. Vale la pena di leggerla e di pensare a come può essere una politica del XXI secolo. Anche se non tutto quello che scrive Tremonti mi convince, è comunque un gran bel pezzo di politica come non si fa più da troppo tempo nel nostro Paese.

http://www.giuliotremonti.it/spot_hp/spot_hp.asp?id=124

Feltri: è Albertini il mio candidato alla Regione Lombardia

Feltri a ruota libera. Una folla enorme ha accolto sabato sera il direttore di Libero a Cortina InConTra di Enrico Cisnetto. Il giornalista ha accettato di farsi interpellare dal collega Gigi Moncalvo, col solito umorismo un po’ ruvido. Producendosi in una performance quasi gigionesca che ha toccato tutti i temi e i nomi della cronaca e della politica.

«Per chi hai votato?» gli chiede l’intervistatore. «Per la Casa delle Libertà, ma solo perché fa un po’ meno schifo dell’Unione. Ho sentito Berlusconi dieci giorni fa, gli ho proposto un confronto con Di Pietro. Ha accettato». Sorride. «E’ Di Pietro che non voleva fare lo sforzo di venire fino a Milano… Con Fini non ho più un buon rapporto, è uno che vuole sempre essere lodato, e se scrivi che ha i capelli spettinati si incazza. Veltroni invece l’abbiamo già definito con un titolo di Libero: paraculo. E’ l’Alberto Sordi della politica, sta con tutti, è bravissimo, furbissimo. Solo una cosa, dice di essere il Sarkozy d’Italia: ma non si è accorto che Sarkozy è di destra?» Sugli incidenti a causa dell’alcool: «la Polizia e i Carabinieri fanno il loro dovere. Poi però c’è sempre qualche magistrato che mette fuori tutti». Rincara la dose: «ditemi il nome di un magistrato che ha sbagliato e ha pagato. Al massimo li trasferiscono: da Novara a Vercelli. Forse non è vero che il potere giudiziario è asservito al potere politico, però fanno lingua e bocca». Accetta di difendere l’amico don Gelmini: «se ha toccato il sedere a qualche giovanotto non me ne frega niente. Sono ragazzoni di venticinque anni che hanno visto di tutto, droga, crimine… ve li immaginate a farsi toccare da un prete ottantenne? Ma come si fa a credere a una cosa così?». Critico invece su Valentino Rossi: «l’ho detto sul mio giornale e lo ripeto: rubate pure ragazzi, ma con moderazione».

«Sarai il successore di Berlusconi?», domanda Moncalvo. «No. Nel 1997 mi proposero di fare il sindaco di Milano, ma rifiutai, non sarei un bravo politico, mi manca la pazienza. Scelsero Albertini: all’inizio non andammo molto d’accordo, ma devo dire che dopo aver visto all’opera la signora Moratti, chapeau: Albertini sembra il nuovo Quintino Sella. Noi di Libero lo proporremo come prossimo presidente della Lombardia». E Prodi? «Quello che tanti non sanno è che Prodi una volta non era così, era normale: predicava il liberalismo, era amico di Berlusconi... Poi non so cos’è successo. Qualcuno dice: “è stata la moglie che è di sinistra”. Mah». Infine, domanda d’obbligo: il governo Prodi cade o non cade? E se cade, quando cade? E chi lo fa cadere? «A me basterebbe che cadesse. Purtroppo però Prodi barcolla, prende un pugno da destra e sembra che caschi a sinistra, uno da sinistra e pensi che andrà giù a destra… Invece non cade mai, sta là come un pendolo. Ho il terrore, e lo dico per scaramanzia, che ce lo dovremo tenere. Almeno fino all’autunno 2009». FC

Wednesday, August 08, 2007

Non spariamo sulla Cina

A Pechino si fanno grandi feste per il countdown alle Olimpiadi, ma, come ricordano i media unanimi (e a ragione), dietro alle parate ci sono le violazioni dei diritti umani, le incarcerazioni e le esecuzioni dei dissidenti. Certo che però forse farebbe bene un po' di coerenza storica e di memoria di tempi ben più cupi, quando si moriva a decine di milioni. Ricordarlo rende le contraddizioni di oggi meno stridenti e più comprensibili, ché poi sappiamo quanto sia difficile e contorto il passaggio alla democrazia e non è il caso di fare troppo i moralisti.

E' quel che scrive Enzo Bettiza in un editoriale bellissimo uscito oggi sulla Stampa, che consiglio ai lettori di questo blog, che anche se non hanno voglia di lasciare commenti vengono sempre in tanti - lo so - a dare un'occhiata. Buone vacanze a tutti da una Cortina piovosa fredda e già quasi autunnale.

Saturday, August 04, 2007

Da Cisnetto gran cicaleccio sui Dico, ma il vero protagonista è (ancora!) il Pd. E la Rivoluzione Francese

Cortina d'Ampezzo. «La Rivoluzione Francese? Un gran pasticcio, ma la stiamo sistemando». La lascia cadere così, con sorridente nonchalance, Paola Binetti, giovedì al PalaLexus per l’appuntamento di Cortina Incontra di Enrico Cisnetto . Presidente del Comitato scienza e vita, la senatrice Dl è esponente mite ma battagliera dei “teodem” nostrani – per gli ammiratori l’ala più avanzata e audace del cattolicesimo democratico italiano, per i maligni il braccio armato della CEI e dell’oscurantismo clericale.

Ha detto proprio così la Binetti, intervenuta insieme ai colleghi Alfredo Mantovano (An) e Cesare Salvi (Sinistra Democratica) e all’eurodeputato radicale Marco Cappato all'incontro dedicato ai Dico e alla legislazione sulla famiglia. Certo, dietro c’era un ragionamento articolato e profondo, sulle radici culturali dell’Europa (e cioè «la filosofia greca, il diritto romano, la religione cristiana»), sulla necessità di riconoscerle come preambolo ad ogni intervento legislativo che tocchi valori morali. Ma la cosa passa più o meno inosservata: c’è Cappato che si scalda su Conferenza Episcopale e Vaticano, “fondamentalisti e talebani”, perché non vogliono accettare che si riconoscano i diritti degli omosessuali: “temono la distinzione tra sessualità, riproduzione e amore coniugale, anche se il Parlamento europeo legifera in materia da almeno quindici anni”.

«E chi se ne frega del Parlamento europeo!» sbotta Mantovano, che sul tema, quello dei diritti dei conviventi, ha anche scritto un libro. Per scoprire che nel frattempo hanno cambiato nome: ora nella versione riveduta e corretta del ddl Salvi si chiamano Cus, cioè contratti di unione solidale: «sono meno macchinosi dei Dico, si passa dal registro presso l’anagrafe a un libero contratto davanti al giudice di pace», spiega Salvi. «Se c’è un soggetto che oggi viene realmente discriminato è la famiglia», ribatte Mantovano. Chiosa la Binetti: «questi contratti sono come un prodotto che ha già una data di scadenza: vanno contro la nostra cultura, che è quella dell’impegno indelebile, a tempo indeterminato».

Ma l’impressione è che dietro alle posizioni dei quattro, ben note, stia ben altro gioco politico, quello che si muove tra le primarie del Partito Democratico e la difficile tenuta della maggioranza, appena uscita indenne dal voto in Senato (i Senatori sono arrivati in elicottero a Cortina da Roma). Ecco allora un Salvi insolitamente “morbido” e moderato, non solo con Cappato ma anche con l’alleata Binetti - altrimenti distantissima - che ricambia la cortesia; viceversa, l'esponente dei Radicali, col contenzioso aperto dal suo segretario che proprio giovedì è stato lasciato fuori dalla corsa delle primarie, attacca il Partito democratico: «avete deciso che siccome il tema dei Dico è una materia che “spacca”, è meglio omologare tutti su una sola posizione (contraria ovviamente), anziché lasciare libertà di coscienza ai singoli. Avete paura che Savino Pezzotta dopo il successo del Family Day faccia un nuovo partito centrista...?» FC

Monday, July 23, 2007

Uomini e cani

La settimana scorsa, quando ero a Cortina, ho preso il cane e sono andato a fare una gita con lui. Mi è sembrato naturale portarmelo dietro, come avevo già fatto, come quella volta due o tre anni fa che andammo in Val Travenanzes e io scelsi un percorso alternativo in mezzo al torrente, e per un gran numero di volte dovetti prenderlo in braccio perché le rocce erano troppo alte, e quasi facevo fatica a saltare persino io. Come quando andavamo sui prati sopra Chiamulera, ad aprile quando la terra è bagnata e molle per la neve che si sta sciogliendo, e io lo aspettavo seduto sotto i due alberelli in cima alla collina mentre girellava nei dintorni. Come le infinite volte che siamo stati nei boschi, e lui ci superava in corsa sui sentieri strettissimi con in bocca un bastone lungo un metro abbondante, e tutti lo maledivano per le botte sui polpacci che ci si prendeva.


L'altro giorno abbiamo varcato l'accesso della Val Travenanzes, in mezzo ai pallidi massi giganti che danno alla zona un aspetto lunare, ma quando l'ho cercato con lo sguardo ho visto che era indietro, venti o trenta metri, ansimante. Faceva finta di annusare dietro a un sasso, di interessarsi a qualcosa sul terriccio, pudico davanti alla propria debolezza come un anziano umano. Ho capito che era abbastanza, sono tornato indietro. E ho sentito il tempo precipitarmi addosso con una certa amarezza. Siamo vicini al momento in cui lui semplicemente lascerà questo tratto in comune che abbiamo segnato, questo decennio abbondante in cui è entrato nella mia vita con la sua presenza discreta ma viva e vivace.
Sono i cani: e per il rapporto crudele che la natura ha stabilito tra la durata delle nostre vite e delle loro ciascuno di essi rappresenta un singolo periodo dell'esistenza di un uomo, si imprime come una canzone nel ricordo di quel tempo, ne limita i contorni, dando modo al padrone di vivere ancora, con altri cani, il tempo che gli è stato concesso. Pensare che sono dieci anni da quando seduto su una roccia in un pomeriggio di settembre aspettavo il giorno successivo, quando sarei andato a "prendere il cane" - dieci anni così straordinariamente intensi e fugaci - mi fa venire un bel brivido.


Wednesday, July 18, 2007

Anno 2042

Quando nell'agognato anno 2042 (quando secondo l'attuale assetto, all'età di 57 anni, potrò andare in pensione), mi presenterò all'ufficio Inps per chiedere il mio assegno di vecchiaia e mi verranno accreditati 180 euro mensili causa svuotamento delle casse dello Stato; quando in quell'agognato anno 2042 mi accorgerò, ci accorgeremo, che una riforma previdenziale era utile anzi necessaria, dirò, diremo con entusiasmo

"grazie Rifondazione"

(e grazie ai tanti, troppi coetanei che continuano a votarla).

Sunday, July 01, 2007

Dieci dita

... chi è capace ? :-)

Friday, June 29, 2007

Ite missa est

Sia benevenuto il ritorno della messa in latino, annunciato ieri dal Papa (più che un ritorno, una "liberalizzazione" del culto). E non per posa reazionaria, perché genericamente "vecchio è bello".

La messa in latino è finita nei tumultuosi anni Sessanta, nella chiesa post-conciliare. La ragione (benemerita) la sappiamo: l'incomprensibilità di una lingua semi-straniera per la gran parte dell'assemblea. Così però la messa è diventata asciutta e un po' anonima, le si è tolto quel grado di suggestione mistica che la separava dal linguaggio secolare - e, per gli esperti, si sono violentati tanti sottili e fondamentali significati nel momento della traduzione.

Ora la Chiesa si volge di nuovo ai suoi venti secoli di storia e di sedimentazione di una memoria antica per ricavarne un'energia che l'estenuante confronto con la modernità le ha sottratto. In questo caso è il rito della messa in latino, con le sue formule passate sulle bocche di decine di generazioni, il suo potere di evocazione di qualcosa di antico e sacrale, e anche la sua maggiore prossimità - teologica e temporale - al messaggio evangelico. Perché questo nostro grande papa vuole ribadire che da Dio e dall'uomo (cioè dalla comunanza storica umana) la Chiesa trae la propria forza.

Saturday, June 23, 2007

A Nizza










Sunday, June 10, 2007

Ritorno

L'Italia mi ha abbracciato come una madre.

Ho fatto un paio di scalini dall'aereo British Airways verso la navetta dell'aeroporto di Linate e l'ho sentita su di me, tiepida e narcotica. Dopo ore di aria condizionata che mi avevano stordito a sufficienza è stato come tornare in un utero primordiale. Che ci possiamo fare. E' questo nostro Paese meraviglioso e malato, che trasforma e ammorbidisce l'animo, che induce alla pigrizia, all'abbuffata, allo sbadiglio. Sull'autobus per Milano mi casca l'occhio su un paio di belle gambe che da sole valgono tutte le pallide mascolinità delle americane, ed è come una boccata d'aria, la deliziosa sensazione che sono a casa, di nuovo, in mezzo alla mia gente, così bella e stupida - così bella, soprattutto.

Il viaggio si è concluso in modo inaspettato. Quando un paio di mesi fa mi avevano detto che veniva anche lui, Daniel, lo spagnolo, avevo temuto qualche scintilla. Non ci eravamo mai piaciuti. Però si doveva viaggiare. Poi mi ha provocato un po' - una tirata sugli orari per un ritardo minimo, una sciocchezzuola, uno spunto per farmi incazzare. Ci è riuscito. Gli ho detto che era un pezzo di merda e per poco non ci siamo presi a botte. E' stato meglio così, probabilmente. Salutare, veritiero. Un brivido di sincera ostilità.

Ho salutato gli altri e me ne sono andato nello Yosemite con dei ragazzi che avevo appena conosciuto nell'ostello di San Francisco. Lo Yosemite è un posto meraviglioso. Ho nuotato nei laghi e nei fiumi e camminato su lastroni di granito impressionanti. Poi son tornato a Boston e a NYC, sempre bevendo litri e litri d'acqua (come mi ha consigliato il mio parente ritrovato) e pisciando praticamente ovunque, dalle sequoie giganti ai cespugli dei quartieri residenziali di Boston.

Ora son qua, con il mio fuso orario sulle spalle come il fardello dell'uomo bianco, del viaggiatore. Ricordi e sensazioni, un lungo viaggio intenso e vivace che si chiude come un cassetto. Penso agli altri padovani che sono ancora in viaggio, in Sudafrica, da qualche parte, a cercare i luoghi e i volti della nostra strana diaspora veneta.

Domani sera si esce, con gli amici di sempre, che nel frattempo, sento, si son dati da fare. Stasera elezioni in Francia e in Italia, un'altra overdose di distrazioni e di analisi politica e di mappe elettorali e cifre e grafici e bandierine. Utili, indispensabili per non pensare ai casi propri - al passato, al futuro, alla strada tortuosa su cui ci troviamo.

Monday, May 28, 2007

Fotografie / 2


Il Minivan

Lussureggiante California





Gelato italiano in Little Italy.
Siamo i soliti provinciali!

Fotografie / 1





















Grand Canyon, Arizona, con Lorena



Margaritas, San Diego, con Lorena e Mayumi, giapponese






Con Florencia, indonesiana

Saturday, May 26, 2007

California

Il brivido eccitante delle superstrade californiane!
Abbiamo il nostro Minivan, un macchinone da otto posti più ampio bagagliaio. Lo paghiamo 1.300 bucks per tredici giorni, divisi in sei persone quali siamo. E' quasi più grande della stanza d'albergo dove alloggiamo qua a San Diego.

Ieri eravamo immersi in una superstrada a dieci corsie: quei serpentoni giganteschi che si arrampicano su per la roccia rossa della California, grandi fiumi di asfalto e grandi macchine con dentro grandi guidatori anglosassoni. La roccia spunta ovunque, anche nel mezzo della città, in grandi blocchi isolati - roccia che ha qualcosa di primordiale, giurassico, macchiata com'è scenograficamente del verde scuro della vegetazione.

San Diego è bella e fredda. Molto linda e curata, fresche le temperature, clima umano poco latino, un po' distaccato. Ho capito davvero che cos'è la California quando siamo usciti dalla superstrada e davanti alle finestre del Minivan sono comparse le decine di villette con giardino che fanno i quartieri residenziali di San Diego, ciascuna diversa dalle altre, ciascuna tutta a sè stante, la propria libera e disordinata vocazione lasciata a svilupparsi in totale assenza di ogni vincolo di coerenza urbanistica: dal tempietto neoclassico alla casa rurale tudor, alla hacienda messicana, alla capanna del New England in legno dipinto, come scherzava Woody Allen in Io e Annie.
Siamo stati all'Hotel del Coronado, quella bella struttura vittoriana coi tondi tetti rossi affacciata sul Pacifico dove Marilyn suonava l'ukulele in A qualcuno piace caldo. Ora ci vengono in vacanza gli Americani della upper-upper-upper-class, che mangiano sushi e sashimi nella sala ristorante mentre le figlie di nove anni pagano il gelato con la carta di credito personale. L'acqua minerale costa 4 dollari a bottiglietta... Ecco, la fichetta San Diego è così: ti inculano, ma con dolcezza.

Sulla superstrada abbiamo raggiunto il confine con il Messico, l'alta barriera grigia che separa il primo dal secondo mondo, un po' come il Canale d'Otranto, ma lì almeno ci sono cento chilometri di acque dell'Adriatico ad occultare pietosamente le differenze tra Italia e Albania. Qui invece il salto è brusco, e dagli USA vedi Tijuana, a pochi chilometri, e le sue casette bianche scrostate, e persino la linda e graziosa San Diego, man mano che ti avvicini al confine, diventa un brutto sobborgo.

Vedo il mondo dalla superstrada, e mi sento, ci sentiamo, straordinariamente liberi, con la nostra macchina-casa che ci portiamo dietro. Domani con la stessa macchina andremo a Los Angeles. Là incontrerò Alfonso, cugino fuggito nel 1990 che non ho mai visto. Sono curioso... Fonsi, chi sei, come sei? Che faccia hai? E' tempo di ritrovare un volto e un frammento di una famiglia fragile e dispersa, di ricomporre il quadro, di far sì che assomigli almeno un po' alle belle famiglie latine floride e numerose come quella di Lorena, che un po' invidio. Non lascerò che il tempo faccia brandelli della mia famiglia sfigata: in questa trasferta americana ho dovuto lasciare qualcosa dietro di me, a Boston, in modo irrimediabile, ma so che qualcos'altro aspetta di essere portato alla luce, a Los Angeles. E' la mia frontiera e il mio riscatto.

Wednesday, May 23, 2007

Skywalk

Abbiamo noleggiato una macchina e siamo andati fino al Grand Canyon, fino al ciglio cioè, su quella piattaforma di vetro sospesa sul baratro che si chiama Skywalk. Una deliziosa ragazza di Aspen, Colorado, mi ha chiesto se avevo le vertigini. La domanda era retorica, credo. La risposta comunque intuitiva, visto che stavo aggrappato al corrimano di acciaio in posizione colpo-della-strega, le nocche bianche e il volto sbiancato. Le ho detto che ero un montanaro come lei, anche se magari non lo sembravo. "Di dove?" mi fa, di Cortina, "ah, credo di averla già sentita", dice. Era carina e biondina e molto a suo agio. I miei compagni di viaggio stavano a un paio di metri di distanza, in mezzo alla passerella, a saltare forsennatamente per vedere se la struttura reggeva. Per salire sul coso c'erano alcuni gradini. Nel salirli ho pensato a Maria Antonietta che prima del patibolo si prese uno spigolo sulla fronte per non abbassare il fiero sguardo e l'ho ammirata sinceramente. Io che sono un borghese discendente di famiglia borghese non ho gli stessi problemi di portamento.

Il deserto del Nevada e dell'Arizona non è proprio deserto deserto, semmai una immensa distesa di arbusti bruciati dal vento e di piante grasse e spine e mimose senza fiori. L'abbiamo attraversato con la nostra macchinona su una lunghissima strada sterrata, una ventina di chilometri. Polvere, polvere dappertutto. Bisogna tenere chiusi tutti i finestrini e se si trova un'altra macchina che sta davanti o la si supera o si rallenta e la si lascia proseguire, perché sennò nella nuvola non si vede più niente. Il clima è migliore del nostro padano: arsura nelle ore del giorno, ma niente afa, e vento tiepido tutta la notte. All'ombra si respira. Al sole ci si asciuga le ossa.

Friday, May 18, 2007

Da Boston a Las Vegas

Sono andato a Boston in cerca di qualcosa che non ho trovato. E' stata una piccola delusione, che avrei potuto prevedere, forse. Sono arrivato in tarda serata, una serata estiva, diversa da quelle che avevo conosciuto nel semestre scorso, piovose, o ventose, o gelide e immobili. Mentre trascinavo il bagaglio sui marciapiedi di Commonwealth Ave ho annusato l'aria densa della tarda primavera e l'ho trovata estranea e poco familiare. Poi nei giorni seguenti ho ritrovato le persone - quasi tutte - che avevo lasciato a dicembre: Miguel, Solenn, Dani, Carlos, Lorena, Aloysius, Giorgia, Owen, Simon, Lynn. Ho ritrovato il luoghi, i nomi, i piccoli punti di riferimento - la libreria di Kenmore, Barnes&Noble, il vecchio dipartimento di Storia con i suoi corrimani di legno scuro un po' scrostati, la fermata della metropolitana di Copley, sporca e cadente. Ma qualcosa manca.
E' l'odore del passato. Il tempo che e' andato non torna piu', e' cosi' banale da dirsi, ma anche le banalita' sono sulla nostra strada, e quando ci capitano non sono piu' banalita' ma rivelazioni, esperienze. Non basta rifare tutto daccapo, fare girare di nuovo la pellicola invecchiata. Il mondo di prima e' rimasto sigillato nella pellicola, e al massimo manda qualche bagliore fugace, qualche flebile segnale, quando proustianamente si toccano e si annusano e si sentono le cose di allora. Ma sono, appunto, momenti, attimi. Io cercavo di ritrovare l'anima del mio soggiorno a Boston, e invece con sorpresa ho scoperto che l'anima se n'era volata via la sera del 25 dicembre, quando l'aereo aveva lasciato il Logan International, e che era rimasto solo tutto il resto. Guai a pensare di dare vita ai cadaveri: e' un'operazione masochistica.

Siamo a Las Vegas. Il vento del deserto brucia nelle narici. Se getti l'occhio tra un palazzo di cartapesta e un altro vedi le alture grigie e pietrose che circondano la citta' a distanza, uno scenario spettrale e bellissimo. Vediamo se questa sera, che e' la prima in giro tutti insieme, mi fara' piacere Las Vegas per quello a cui piace al resto del mondo che viene qui, cioe' come grande baraccone dei grandi. Per ora, invece, sento tanto piu' forte il richiamo della foresta, cioe' della natura, del deserto... Si vedra'.

Saturday, May 12, 2007

Boston, finally

Una figura lontana, in bianco, nell'aria scura. F. la vide avvicinarsi e prendere contorni piu' chiari. Era in Bay State Road, che a maggio profuma di pini e di erba tagliata. Le piccole entrate in pietra delle brownstone, tante graziose scalette grigie, si aprivano sui marciapiedi in una lunga successione, illuminate dai lampioni. Formavano tante isole di luce nel buio della notte. Era l'una e mezza del venerdi' sera. Gli studenti tornavano a casa dalla partita di baseball, dalle feste di addio, dai cocktail in Newbury Street. Lui no. F. era sbarcato a Boston un paio d'ore prima, dopo un lunghissimo viaggio dall'Italia che gli era sembrato non finire mai. Che non finiva mai! E che terminava in bellezza con l'ostello che lo cacciava fuori, "no beds for tonight", perche' non aveva confermato la prenotazione fatta su internet quando aveva visto che stava ritardando. Il tizio al bancone dell'ostello, una specie di fantasma postmoderno, un punk o qualcosa del genere, col suo codino di capelli unti e lo sguardo evaporato, che gli negava una telefonata agli alberghi vicini, e quindici minuti di internet per cercare un altro ostello, "no, mi spiace, internet e' riservato ai clienti". Il cellulare era morto. Allora era andato a cercarsi un telefono pubblico e un elenco telefonico, sudato, stanco, il viaggio che gli si appiccicava addosso, sul collo, sulle tempie, come un'eredita' sgradita. Aveva chiamato in giro, cinque, sei hotel. Volevano una stupida prenotazione online, oppure chiedevano il nome della sua compagnia - "non sono in un'azienda, sono un singolo", aveva detto inutilmente - oppure avevano una bella stanza per 299 dollari. E altre amenita'. Niente albergo. Ma aveva trovato Miguel al telefono. Che aveva fatto una corsa. Eccolo dunque arrivare, ora. La figura si faceva piu' nitida, lo riconobbe. Correva. Si salutarono.
Il viaggio era finito.

Sunday, May 06, 2007

La rivoluzione francese

C'è stato un momento, negli ultimi due anni, in cui in molti abbiamo temuto per una nuova rivoluzione francese. Dalle banlieu, con gli scontri violentissimi dei teppisti, dalla Francia malata e insoddisfatta che ha votato per Le Pen, dai tanti cittadini che nell'era chiracchiana-socialista si sono sentiti fuori dal mondo, fuori dalla storia, si è percepito un sentimento di rifiuto totale. La rivoluzione, archetipo dell'identità francese, come manifestazione di insofferenza inevitabile.

Così non è stato. Ha vinto un'altra rivoluzione, quella di Nicolas Sarkozy, il nuovo presidente della Repubblica Francese. Quella che attendiamo per i prossimi cinque anni è una rivoluzione di idee e non di violenza, che faccia vincere un nuovo umanesimo francese, sottratto all'egemonia socialista e donato al patrimonio ideologico collettivo.

Nicolas Sarkozy ha vinto con un'affluenza record e con un numero assoluto di votanti altissimo. La sua opera governativa sarà dunque fortemente legittimata da questo imponente voto popolare.

Présidentielle - Secondo turno: Liveblogging

20.00 TF1: Nicolas Sarkozy è presidente con il 53%

19.58 Le Monde: Nicolas Sarkozy è eletto con una larga maggioranza
Titolone sul sito di Le Monde, che riassume le rilevazioni di quattro istituti di sondaggi: la media dà Sarko al 53,5%.

19.28 "On a gagné"
Canti entusiastici al quartier generale dell'UMP: "abbiamo vinto, abbiamo vinto". A Place de la Concorde "è come la coppa del mondo", dice Libération.

18.57 Toscano: "so il nome dell'uomo che ha vinto"
Ghignante Alberto Toscano, corrispondente del Giornale e in collegamento al Tg4: "non posso ancora dire il nome dell'uomo che ha vinto".

18.38 Preparativi in Place de la Concorde. Chiusa la métro
La notizia non è nuova - da ieri l'UMP, il partito di Sarkozy, sta allestendo un placo nella centralissima Place de la Concorde, a Parigi. Ma ora Libération, quotidiano gauchista, lo mette in prima pagina. Lo stesso giornale riporta che "si sono sentite grida di vittoria" alla salle Gaveau, Parigi, quartier generale dell'UMP, alla "notizia non confermata di rilevazioni interne al partito che darebbero la vittoria a Sarkozy". Intanto, Le Figaro dà la notizia che "in vista di un assembramento di supporters di Sarkozy" le stazioni della metropolitana Concorde, Tuileries e Madeleine sono state chiuse.

18.29 Le stime del Partito Socialista
Stime interne del Partito Socialista francese basate su rilevazioni nei seggi darebbero Nicolas Sarkozy vincitore al 54%. Lo riferisce la televisione francofona svizzera tsr.

Il Liveblogging di Tocque-ville
Salutiamo gli altri bloggers di Tocque-ville che seguono in diretta l'elezione presidenziale francese: Daw, Mario Sechi, Neocon Italiani, RDM20, StarSailor.

18.17 TNS-Sofres: affluenza finale all'86%
Se confermato, il dato sarebbe il più alto della Quinta Repubblica dopo il record del 1974 (87,33%).

18.09 Le Soir: Sarko 53-56%
Per il quotidiano belga Le Soir, Sarko oscilla tra il 53 e il 56%. Ma, inutile ricordarlo, stiamo inseguendo exit-poll svolti con chissà quali metodi. Attendons!

17.56 L'affluenza finale sarà tra l'85 e l'86%
L'affluenza finale al secondo turno sarà dell'85% secondo IFOP, dell'86% secondo CSA e Ipsos.

17.41 Le Temps e La Tribune: Sarko 54%, Royal 46%
Le Temps precisa: alle 16.15, secondo i propri exit-poll, il distacco tra i due contendenti sarebbe dell'8% per il candidato UMP. Identico responso della Tribune de Genève: Sarkozy oscillerebbe tra il 53 e il 55%. Intanto Sarko ha raggiunto verso le 17 il proprio quartier generale.

17.20 Alle 17 ha votato il 75,11%
E' arrivato il dato delle 17: 75,11% di partecipazione, il più alto dal 1965. Al primo turno, alla stessa ora, era al 73,87%, e al secondo turno del 2002 era al 67,6%.

16.41 Le Temps: "vantaggio di Sarkozy"
Vaghissimo titolo uscito venti minuti fa sull'organo svizzero francofono Le Temps: "secondo tutte le nostre prime informazioni basate su differenti exit-poll (soprattutto dei dipartimenti d'Oltremare) il candidato della destra, Nicolas Sarkozy, sarebbe in testa". Stesse controindicazioni della Tribuna di Ginevra.

15.03 La TdG: Sarkozy accresce il distacco
Secondo la Tribuna di Ginevra di ieri, i sondaggi delle ultime ore, non pubblicabili in Francia nelle 48 ore precedenti il voto, dicono che Sarko cresce ancora sulla Royal: ora il vantaggio sarebbe "tra 8 e 11 punti". Ma la Tribune, quotidiano svizzero che rischia grosso per l'accusa di influenzare le elezioni francesi, le aveva anche sparate grosse nel pre-primo turno. Da prendere con cautela.

14.39 Cresce ancora l'affluenza
Alle 12 ha votato il 34,11%, il tasso più alto di partecipazione a midi dal 1974. Cresce rispetto al primo turno (31,21%). A Parigi, la progressione è ancor più elevata: 29,25% rispetto al 24,56% del 22 aprile. Nei territori d'Oltremare e presso i Francesi all'estero il voto, tenutosi ieri, si è chiuso in forte rialzo. Non c'è molto di nuovo, tuttavia: sempre dal 1974, ogni secondo turno nella Quinta Repubblica ha richiamato più Francesi alle urne del primo, con aumenti dall'1,3% all'8,2%.

Friday, May 04, 2007

Perché Sarko sarà più importante della Merkel


Se domenica i Francesi dovessero confermare il responso del primo turno, e cioè il grande entusiasmo con cui hanno sostenuto la candidatura di Nicolas Sarkozy presidente, allora è possibile che qualcosa cambi davvero per tutti noi, in Europa.

Quello che Sarko promette - lo abbiamo visto in questi mesi - è più di un nuovo governo, o di un programma efficace, che resterebbero chiusi nel recinto del minimalismo. Il candidato dell'UMP ha parlato invece di una vera rivoluzione culturale, che "liquidi" una volta per tutte l'eredità del '68, e con essa le stanche categorie intellettuali del "politicamente corretto", del "pensiero unico", della fuga nell'irrealtà. Non è nuovo che a destra ci si lamenti delle nefaste conseguenze del '68; è invece un fatto degno di nota che un candidato alle elezioni scelga di farne un cardine del suo programma, e che chiuda la campagna elettorale parlando di questo anziché di tasse, salari o poliziotti di quartiere.

C'è un'altra ragione per cui questa elezione può avere conseguenze storiche. Da sempre la Francia è il polmone culturale d'Europa, quanto la Germania ne è il motore economico, la Gran Bretagna la porta aperta sul mondo, l'Italia il verde giardino. Dal primo medioevo (vedi Madariaga) la Francia ha avvolto l'Europa in una grande fascinazione, in una rete di idee luminose. In Francia è nata sul piano teorico la modernità, mentre in Inghilterra la si sperimentava. E dalla Francia sono nate, attorno all'adesione o al rigetto di questa modernità, le sfumature politiche della destra e della sinistra (vedi Galli Della Loggia). In questo senso, i cambiamenti politici che avvengono in Germania, ad esempio, che a diritto dovrebbero contare di più (se non altro per una questione di demografia e di economia) non sono ugualmente importanti per tutti noi: anche per questo, e non solo per la simpatia che ci suscita Sarko, attendiamo con interesse e speranza il risultato di domenica.

Thursday, May 03, 2007

Aggiornamenti sulla Présidentielle

1. E' arrivato l'endorsement ufficiale di Jean Marie Colombani, direttore di Le Monde, per Ségolène Royal. Curioso, dalle parole del direttore sembra quasi più forte la preoccupazione per le sorti del Partito Socialista che per quelle del Paese. Infatti: "la sconfitta [di M.me Royal], soprattutto se fosse pesante, farebbe piombare inevitabilmente il PS nei regolamenti di conti, il ritorno in forza di tutti gli arcaismi e di tutte le utopie negative". La sua vittoria, invece, darebbe il la alla trasformazione della sinistra. Conclude Colombani, con una discreta torsione logica: "è una scommessa. Per il Paese, merita di essere giocata".

E questo nonostante nello stesso editoriale si ammetta la "debolezza" del programma socialista, l'assenza di "misure-faro" davvero riformatrici, e si constati la differenza, ad esempio, con Jospin 97 e le sue trentacinque ore. Mah. In compenso, per Colombani, Sarko è portatore di una "concezione che antagonizza" le parti sociali, e il suo potere sui media chiama alla "vigilanza". Da una parte, spiega, c'è la Royal che rappresenta i ceti medi; dall'altra, Sarko è l'uomo dei ricchi e dei poveri, dei due estremi. Allo stesso tempo, però, il direttore di Le Monde ammette che Sarko ha "rifondato la destra" e che il suo è un progetto "coerente e controllato. E' per questo che era assurdo demonizzarlo". Gli fa eco Franz-Olivier Giesbert, dalle colonne di Le Point, quotidiano di centrodestra: la demonizzazione di Sarkozy si sta rivelando "un boomerang", perché "l'odio e l'isteria non sono dei buoni mezzi di comunicazione".

2. Bayrou: non voterò Sarko. Dopo il dibattito di ieri, il capo dell'UDF fa un altro passetto verso i socialisti, attraverso una negazione anzichè un'asserzione, com'è nel suo stile. Riuscirà a dire "Ségolène" entro il voto di domenica? Mi scrive Solenn, elettrice cattolico-moderata di Sarko: "non mi piace questa tattica poco chiara di Bayrou". Forse non è la sola.

3. Ieri c'è stato il dibattito pubblico tra Sarko e Ségo, seguito da milioni di spettatori in Francia e forse anche da qualche consistente migliaia di Italiani che, come me, si sono del tutto disinteressati alle vicende del Milan e hanno invece optato per la diretta di La7. Tutti si sono complimentati con la Royal per la grinta e la decisione (a tratti un po' demagogica) con cui ha attaccato il suo avversario. Io mi complimento per la scelta del look, che per l'ennesima volta era semplciemente perfetto, una delizia di neri e di bianchi. Ma i Francesi sembrano averle preferito Sarko: secondo una rilevazione Opinionway pubblicata da Le Figaro il 53% degli spettatori giudica Sarko "più convincente", rispetto al 31% che gli preferisce la Royal. Il candidato del centrodestra trionfa tra gli elettori centristi: 51 a 25. E' giudicato più "rassicurante". Forse avrà pesato il momento topico in cui Ségolène socialista si è detta "in collera" per come Sarko aveva trattato il tema degli handicappati. La risposta del suo contendente, imperturbabile: "calmatevi, Madame". "No che non mi calmo!". "Un Presidente della Repubblica deve essere calmo", ha risposto Sarko.

4. Ha avuto un discreto impatto, durante il meeting a Bercy, Parigi, il richiamo di Sarkozy al generale De Gaulle: in platea era seduto il figlio, Philippe, che si è quasi commosso. Nei giorni scorsi si era affrettato a dire che lui voterà certamente per Sarkozy, cosa che i Francesi potrebbero tenere in un certo conto. Altro illustre supporter sarkozista: Valery Giscard D'estaing, fondatore dell'UDF.

5. Infine, il sondaggio Ipsos: per l'istituto che è andato più vicino all'azzeccare i risultati del primo turno, a tre giorni dal voto non c'è storia: è un 46,5% a 53,5% per Sarko, sette punti di distacco. Sono molti. Stiamo a vedere.

Tuesday, May 01, 2007

Piccola guida della Venezia Giulia per irredentisti del XXI secolo

A Albona. Sta in cima a un cucuzzolo sulla strada tra Pola e Fiume. Di Italiani ce ne sono pochi, pochissimi. Sotto al paese sta l'agglomerato minerario di Podlabin, all'inizio del Novecento era un feudo socialisteggiante. Qui le due etnie si sono fatte la guerra e almeno tredici dei nostri sono finiti nelle Foibe. Con Renato, amico napoletano, buttiamo un occhio dentro alla chiesa principale: ci sono i bambini che si preparano per la comunione, pronunciano il proprio nome al microfono uno dopo l'altro, sotto l'occhio delle mamme un po' apprensive e del parroco rustico e bonario che li riprende se parlano troppo piano. Ma in mezzo ai Radovich e ai Bogdanovich ecco "Elisa Luciani", 8 anni, biondina, scandisce il suo nome forte e chiaro. Per noi sulla soglia della chiesa è un piccolo tuffo al cuore.

B Belle Epoque. Un'orgia di belle époque ad Abbazia, sulla costa orientale dell'Istria, a due passi da Fiume. Che delizia venire a fare "la villeggiatura" nel 1910 in questa San Remo degli Asburgo, quando al gran caffè del centro venivano a suonare Strauss e l'estate volava in un passo di valzer... Ma anche vent'anni dopo, quando sotto ai porticati delle villette triestini e fiumani si trovavano a raccontare l'ultimo lavoro di Puccini. Un mondo scomparso.

C Costantinopoli. Lontana e vicina, unico tramite culturale per i Parentini e i Rovignesi e gli altri romanici della costa adriatica nell'altissimo medioevo, quando a dieci chilometri, nella campagna dell'entroterra, correvano le bande slave e la strada era dunque sbarrata. Capodistria si chiamava Giustinopoli. A Parenzo leggevano i codici nella basilica rivestita di mosaici dorati, sembra un po' Ravenna. Adesso si può andare a mangiare un buon carpaccio di pesce nel ristorante affacciato sul porticciolo.

H Harry's Bar. Ci era stato segnalato da persona accorta, sull'angolo di Piazza Oberdan, a Trieste, dove partono gli autobus per Barcola. Posto squallido. Da evitare.

K Via Kandler. Una traversa di Via Giulia. C'è un affittacamere molto carino. Da ricordare.

L Lotta Popolare di Liberazione. LPL. Così chiamarono in Jugoslavia la carneficina di Italiani praticata tra il 1943 e la fine della guerra dai partigiani titini. Una sovrabbondanza di targhe nei comuni istriani dove il turismo di massa arriva meno, per fortuna coperte dalle fronde degli alberi e dall'incuria degli abitanti attuali, che al massimo pensano ai benefici economici dell'ingresso nella UE. Sulle targhe, gli Italiani sono sempre "fascisti"; i partigiani agirono in nome dell' "amicizia italo-slava".

M Milano. "Siamo di Milano", hanno detto gli sciattoni sul corso principale di Fiume. "Non è che avete roba, o sapete dove la vendono qui..."
Milano, o più probabilmente Rozzano, Abbiategrasso, Quarto Oggiaro: che importa? Questi ragazzotti sono venuti fin qui in cerca dell'Est, concetto vaghissimo e sfumato, approdando a Fiume, ma per loro potrebbe essere Kiev, Praga o Bucarest: importa solo farsi un po' di canne, come nella periferia milanese. Li abbiamo reindirizzati a Lubiana, magari là trovano qualcosa, nelle discoteche dei sobborghi, che si dice siano più mondane e internazionali delle nostre.

N Nomi dei paesi. Laurana, Moschiena, Pinguente, Veglia, Sanvincenti. Erano pieni di musica e poesia, spesso più di quelli dei comuni rimasti italiani, nelle province di Udine e di Gorizia. Ora gli stessi luoghi si chiamano Lovran, Moscenice, Buzet, Krk, Svetvincenat. Guai a chi si dimentica il loro toponimo italiano, e chiama l'amico al cellulare dicendogli di stare a Koper anziché a Capodistria: si merita un internamento in una palazzina scrostata del socialismo reale, di quelle che stanno intorno a Rijeka, pardon, Fiume.

P Pepi. Trattoria a buffet davanti al palazzo della Borsa, a Trieste. Detto universalmente "Pepi sciavo", i Triestini sennò non capiscono. S-ciavo, cioè schiavo, cioè slavo, è l'etimologia, immune dal politicamente corretto. Sosta doverosa per una gran bella mangiata di carne. Molta senape e rafano, quasi una scoperta per l'amico napoletano che, giustamente, a malapena sa cosa siano queste stramberie nordiche.

Q Quarnero, o Carnaro. E' il golfo di Fiume, su cui si affacciano le prime isole dalmate, meta di un prossimo viaggio, spero presto. Dal 1920 al '21 D'Annunzio ci fece la Reggenza del Carnaro, ed evitò una mutilazione e un esodo forzato. Che comunque avvenne, lo sappiamo, a distanza di un paio di decenni.

S Snazionalizzazione. "La violenta politica di snazionalizzazione perpetrata dal fascismo giuliano". Tutte balle. Basta vedersi il censimento segreto del 1936. Croati e Sloveni stavano fermi sulle percentuali di quindici anni prima, dove non aumentavano addirittura. Quando Mussolini lo lesse si incazzò parecchio. Ma niente cambiò anche allora: gli occhi degli Italiani erano altrove, alla "quarta sponda" libica, alla Somalia, all'Abissinia.

T Teognide. Era un grande poeta di Megara, scrisse elegie avvolte da un cupo pessimismo per il degrado dei tempi. Era anche il nickname di un amico conosciuto su internet, e ieri conosciuto in carne e ossa, appuntamento alle dieci e mezza della sera in Piazza Unità, a Trieste. E' un incontro inaspettato, improbabile, inconsueto. Capelli rossi, carni bianche, andatura nervosa. Anche lui ha la sua modernità da criticare, la sua bella retorica densa di disprezzo per il mondo che gli cambia intorno. "Trieste non vale niente - dice - è un emporio sorto dal nulla duecentocinquant'anni fa. Non vedete come è finta, inautentica?" A me più che quello di un conservatore sembra il linguaggio dei neomarxisti, più che Teognide mi pare Walter Benjamin. E' proprio vero che gli estremi si toccano.

Wednesday, April 25, 2007

25 aprile: San Marco

E' il 25 aprile e la tradizione vuole che oggi si festeggi San Marco evangelista, patrono di Venezia e autore del più antico dei quattro Vangeli. E' una bella giornata di sole, un po' afosa a dire il vero. L'ideale sarebbe dunque una dolce trasferta veneziana, per andare a visitare una delle basiliche più belle della cristianità, dove San Marco oggi riposa, e per pensare al tempo lontano quando insieme alle spezie e ai tessuti i mercanti portavano dall'Oriente le spoglie sacre dei nostri santi. Adesso, al massimo, per le bocche della Laguna ci passano un paio di petroliere.

E' il 25 aprile: Viva San Marco!

Sunday, April 22, 2007

Un voto del Ventunesimo Secolo

Identità, sicurezza, valori, scelte morali. I temi della campagna delle Presidenziali 2007: urgenti, ineliminabili, inevitabili. Sono Sarkozy e Royal, e Sarkozy con qualche significativo punto di distacco, i protagonisti di un voto storico: l'85% dei Francesi, mai così tanti da 40 anni, una cifra altissima, sono andati a votare, chiamati dai grandi temi della politica contemporanea.

I primi voti reali (vedi il sito di El Pais) dicono 30 a 24, un bello stacco, sei punti. Sono preziosi per la vittoria di Nicolas Sarkozy al secondo turno.

Identità, sicurezza, valori, scelte morali. Li aveva snobbati Bayrou, il candidato della noia centrista, della moderazione intesa come indecisione: ed è rimasto indietro. Anche Le Pen e la sua destra cupa e conservatrice è in forte affanno, e di questo (più che le grida isteriche della gauche) i democratici dovrebbero ringraziare la nuova destra sarkozista, che gli ha tolto il tappeto da sotto i piedi.

Noi, si sa, tifiamo per Sarko, che ha appena rilasciato un bellissimo discorso: www.sarkozy.fr lo mette online.

Sarko è avanti

Sarkozy è avanti sulla Royal. Di quanto? Due, tre, cinque punti. Ma secondo tutti gli istituti di sondaggi, il candidato del centrodestra è primo nella sfida presidenziale. Gli altri starebbero indietro, tanto, troppo per minacciare il bipolarismo Ump-Ps. Vediam come le cose vanno avanti. Su Canale 5 l'inviata da Parigi (Mimosa Martini? Non ricordo) ha parlato di "lunghe code" ai seggi parigini. Tutta la Francia ha votato con alta partecipazione, forse si supera il record (84,7%) del 1965.

Primi Exit-Poll: è un Sarkozy-Royal

Secondo tutte le prime rilevazioni, oscurate in Francia ma leggibili sul sito del Corriere in una sintesi, Sarkozy e Royal sono molto avanti rispetto a tutti gli altri. Per la Tribuna di Ginevra siamo a un 26-30% per Sarko e a un 23-27% per la Royal. Bayrou resta piuttosto indietro. Ma gli exit-poll si sa, sono poco più che un oroscopo. Si deve ancora attendere.

Alle 17 siamo al 74%

Dato record di affluenza alle presidenziali francesi. Alle 17 si sono recati a votare il 73,87% dei votanti. Lo dice il Ministero dell'Interno.

Per CSA l'affluenza finale, alle 20, sarà dell'85%. Ifop stima un 87%. Si tratterebbe di un record storico di partecipazione, il più alto della Quinta Repubblica.

"Mai visto"

"Ci si deve battere per andare a votare, è la rivoluzione!" A Bordeaux, feudo elettorale della destra gollista, i responsabili del voto sono stupiti. "Mai visto", dicono, che ci si dovesse mettere in coda fuori dai seggi: vedi il reportage di Libération, da un po' tutta la Francia. A breve arriverà il dato dell 17.

Alle urne, alle urne

In Francia l'affluenza al primo turno alle ore 12 risulta in forte rialzo rispetto al 2002: 31,21% contro il 21,4% delle precedenti elezioni. Era dai tempi di Mitterrand che non si vedeva una cosa così. "Aux urnes, citoyens!", titola Le Figaro parafrasando la Marsigliese. Se il dato dovesse essere confermato nelle prossime rilevazioni, saremmo di fronte a un fenomeno analogo a quello italiano del 2006 e degli USA 2004: una tendenza opposta rispetto a quella a cui eravamo abituati negli ultimi vent'anni, della disaffezione e della noia. Ci penseranno su, forse, sondaggisti e cronisti che hanno passato l'ultimo mese a spiegarci che l'astensione al voto in Francia era altissima. A dopo.

Saturday, April 21, 2007

Domani la Francia vota. Sarko è in testa

Ci dicano tutto quello che vogliono, i nostri cronisti wishy-washy: che ci saranno tanti astenuti, che l'incertezza prevale, che c'è l'incognita Bayrou, che forse Le Pen va su, che forse no, che però Ségolène ha avuto ospite Zapatero.

Ma i perenni indecisi sono loro, i commentatori, che hanno paura di esporsi. La verità è che Sarko va forte, e che ci sono serie possibilità, ragionevoli speranze, che domani risulti il candidato più votato al primo turno delle presidenziali francesi.

Ecco il suo spot sulla identità: è un manifesto dei tempi nuovi, perché parla con audacia e franchezza e affronta il grande problema che l'Europa (tutti noi quindi) ha di fronte: qual è il contenuto di idee e valori che uno stato deve possedere, per essere accettato o respinto? Lo fa con simbologia e psicologia tipicamente francese - con l'immagine di una donna che si ama o si lascia. Non è un candidato perfetto, Nicolas Sarkozy; ma è un candidato del XXI secolo, a differenza dei suoi competitors. E questo è uno spot del XXI secolo, guardatelo.