Tuesday, September 25, 2007

Viaggiare è un po' fuggire

Sono partito un'ora fa dalla solita Venezia piena di innocui barbari slavogermanici, scollacciati e paonazzi per il sole e per lo sforzo. C'era il sole di settembre a dare una luce tiepida e affettuosa a tante belle ragazze. Un amico mi ha ricordato le parole di una canzoncina dei 70s, "ho incontrato un miracolo", e abbiamo riso insieme, di miracoli ce n'erano parecchi, di figliocce solleticate dall'aria vacanziera, dal senso di evasione che fa loro dimenticare i tetri luoghi di provenienza.

Ora sono in treno e penso che è un po' una condizione esistenziale quella del viaggiatore, e che anche io mi sento davvero a mio agio solo quando mi sposto. A pensarci bene, l'idea della pendolarità che mi aspetta nei prossimi mesi non mi dispiace affatto. Non è il solito discorso di filosofia spicciola sul treno come luogo di incontro, sulla possibilità di comunicare con questo e con quello , gli sguardi tra viaggiatori eccetera (anche se forse pagare il biglietto della prima classe in Eurostar potrebbe rivelarsi un investimento, questo sì, perché a quanto pare si trova sempre qualcuno di importante). Il viaggio "passivo" che ti consente il treno è davvero un'isola felice di riposo, e l'evasione è un tratto fondamentale del mio carattere, che un po' combatto quanto posso ma a cui spesso mi devo rassegnare. Una fantasia ricorrente (da storico) è di fuggire come fuggirono i reali dalle Tuileries una notte del giugno 1791, furtivi, evanescenti, fuggire nell'ombra, invisibili, mentre alle proprie spalle gli altri si chiedono perché te ne sei andato, e resta in loro lo sconcerto, lo smarrimento, le domande senza risposta.

Poi c'è lo shock, lo shock barocco - anche questo è parte della fantasia - del riconoscimento reciproco: i reali vedono il popolo, il popolo scopre i propri sovrani. La visione dura della realtà che si palesa di colpo, cruda e asciutta. Quanto prima era etereo e indistinto diventa di colpo netto e inequivocabile, assume una sua solidità e un peso specifico, drammaticamente si rivela.

In un certo senso, questo momento di verità è un'allegoria della vita, e della crescita che aspramente la vita ci chiede: non possiamo sperare di stare troppo al mondo - in questo mondo - senza vedere, toccare, renderci consapevoli. E la cosa più difficile è restare in piedi dopo la presa di coscienza, non lasciarci travolgere dalla realtà ma accettarla e proseguire.

Il viaggio, così, finisce per rappresentare un'alternativa estrema quanto vana a questo gioco duro e inevitabile, una "involontaria rivolta dell'uomo presente alla sua fragilità". E' un momento di infanzia che risponde al bisogno di noi fragili individui di rimandare un poco, di sostare in mezzo al tempo, di arrotondare gli spigoli. Poi tornano le cose, con la loro presenza esigente e concreta; torna la vita, bisogna rialzare lo sguardo, e andare avanti.

3 comments:

CM said...

Letto!

:-P

Unknown said...

un novello Baudelaire..

francesco c. said...

quand'� che ti fai il tuo blog, tu?