Sunday, July 27, 2008

Su su, fino in Padania

C'era una estate lontana, con il vento fresco di fine luglio e un lavoro finito così, un po' bruscamente, con una cafoneria gratuita gridata al telefono. Una via romana assolata, mattina, metto le valigie in macchina. La sera prima avevo salutato gli amici russi e Nicoletta, veronese. Avevamo mangiato una zuppa russa, il borsh, una specie di goulash con rape rosse e panna acida, che avevo guardato con estremo sospetto durante tutta la preparazione fino all'ultimo, al momento prima di mettermelo in bocca. Invece era buono. Ma conferma il mio pregiudizio culinario, che nell'Europa a est dell'Italia esistono solo due tipi di piatto: gyros/kebab a sud, sul Mediterraneo; e zuppe e spezzatini diluiti a nord, dove il freddo e la poca carne chiamano a un'economia delle risorse che però, devo ammettere, non si traduce per forza in cibo cattivo.

Comunque c'era questa estate lontana, e un viaggio in mezzo all'Italia da Roma verso il nord. Anziché la solita autostrada infinita e sfinente imbocco la via del mare, verso l'Argentario, puntando poi al Mugello, da Peppino, amico mio e fidanzato di mia cugina. Sono in Maremma, vedo la scritta "Capalbio" e penso a uno degli ultimi reportage di Umberto Pizzi, il fotografo di Dagospia che avevo salutato solo tre giorni prima a una conferenza stampa in Piazza di Pietra. Ricordo le foto dei vip in vacanza, al mare, in spiaggia. Ma Capalbio non sta in collina? ...e allora così, per sfizio, per perdere tempo, mi metto a cercare qualche lido, qualche spiaggia modaiola. Invece trovo solo Capalbio scalo, una stazioncina e tre casette, e poi la provinciale mi porta dritta ad Ansedonia, splendidamente arroccata su una collina a picco sul mare, piccolo trionfo di ville e lusso nel verde che casca pigro verso l'acqua. La strada scende di nuovo e sono in vista del tombolo della Feniglia, spiaggia conosciuta, dove ho già fatto il mare qualche altra volta. Con me ho un sacchettino con i resti del frigorifero, prelevati prima di partire per non lasciarli marcire in mia assenza: indivia, uova sode, e un coltello e del sale. Mi fermo a un droghiere, a Orbetello, e compro maionese e pane, facendomi un paio di panini improvvisati.

Estate italiana. Camicia di lino, sorridenti famiglie, aria calda e i rumori ritmici della natura nei campi. Il tempo si perde un poco, si distende e allarga le maglie, persino nelle mie giornate così rigorosamente programmate, e sembra fare posto a pensieri più intensi e remoti. Eccomi ora su una spiaggia, ora in un baretto ad un crocevia in mezzo alla Toscana, ora a Borgo San Lorenzo, con Peppino. La sera andiamo a vedere che succede alla festa locale di Liberazione: niente pienone, all'ingresso un cartello scritto a mano appeso su un gazebo deserto recita "dibattiti politici", con la stessa svogliatezza con cui potrebbe dire: "tiro a segno", oppure "nocciole caramellate", neanche offrisse un'attrazione, uno svago. Poi un tendone con un gruppo punk, e un grande hangar illuminato al neon che fa da spazio cultura, con libri e dvd, dove trionfa il bertinottismo, da Terzani alla Maraini, da Saviano alle guide turistiche chic. Risultato: la gente evidentemente preferiva il Che Fare, la libreria è semivuota. In fondo alla festa c'è l'unico vero divertimento ancora valido e nazionalpopolare, il ballo del liscio, con gli over 55 e qualche infiltrato. Suona una canzoncina da balera, "voglio vivere così, col sole in fronte", volteggiano le signore come manichini induriti, e i loro volti, come quelli degli accompagnatori, sono seri, determinati, tesi e compresi nell'esecuzione diligente dei passi.

Vola con me questa estate d'Italia che ho assaggiato velocemente tra mare e collina. Renato mi ha chiesto dove possiamo andare stavolta che lui viene su a trovarmi, questo agosto, e non ho saputo dirgli niente, perché il Veneto lo ha già visto in lungo in largo. Ma lo spettacolo desolato della festa di Liberazione mi ha dato un'idea.
Andremo alla festa della Padania (che significativamente prende posto a Schio): andremo alla festa della Lega, a mangiare la salsiccia!

Friday, July 18, 2008

Si torna ai campi, come nel medioevo, come nei 30s


Oggi sul Riformista c'è una bella intervista a Luca Zaia, ministro leghista all'agricoltura, a firma del bravissimo Fabrizio d'Esposito. Oltre alle varie tematiche contingenti e legate alle dinamiche del giorno, Zaia ad un certo punto fa una riflessione più generale e spiega: "nessuno immagina la svolta epocale che sta per maturare. Vede ci sono dei momenti storici in cui si verificano delle rotture. E adesso ne stiamo vivendo uno, di questi momenti". Addirittura? "Sì: i giovani vogliono ritornare alla terra, vogliono fare i contadini. Mi scrivono in tanti e io sto raccogliendo le loro lettere. Negli anni sessanta si fecero crescere i capelli per fare gli hippy, oggi riscoprono l'agricoltura. (...) Gli Italiani riscopriranno di essere un paese agricolo. Il futuro non è la City ma la terra".

Appunto anche questa riflessione, tutt'altro che banale e tutt'altro che azzardata, sul taccuino dei segni dei tempi. Come nel primissimo medioevo, come - più recentemente - nell'America spaventata e poi depressa dal fallimento della grande finanza degli anni '30, c'è una clamorosa inversione di tendenza. La città non è più la meta della modernità, e la modernità non è più il nostro orizzonte mentale, da un pezzo. Ma non lo è neanche il famigerato "postmoderno", etichetta effimera e omnicomprensiva che non serve a capire niente.

Terra, protezione, casa, famiglia; ancore gettate nel solido universo di riferimento della propria piccola patria in tempi oscuri. Per vincere di nuovo, anziché arrovellarsi su mille possibili rivolgimenti identitari, la sinistra potrebbe raccogliere questo impulso quasi rooseveltiano e volgersi ai semplici e agli umili, andare verso il popolo, come si dice. Ma i tempi che si preparano, come coglie giustamente Zaia, sono gravidi di enormi cambiamenti, da aspettare in modo quasi mistico; ché quello che vediamo ora è solo un piccolo assaggio di ciò che ci aspetta.

Thursday, July 10, 2008

Di Pietro si autodigerisce?

Quella di Piazza Navona è stata una manifestazione a carattere eminentemente digestivo. Sabina Guzzanti ha vomitato le solite cose dal palco, come una bambina seduta al tavolo con gli adulti che rutta, scorreggia, fa le boccacce, a cui nessuno ha mai detto di alzarsi e andare in camera sua. Stavolta ha cercato di espellere sul vicario di Cristo, ma diciamo con un eufemismo che gli schizzi non sfiorano la tonaca dell'ultimo dei servitori del Papa. Grillo ha vomitato telefonicamente, dagli altoparlanti. Ciascuno ha rigurgitato o ha espulso un po' del suo, così, tanto per fare qualcosa; per misurare, come fanno i bambini nella fase anale, l'entità della propria presenza in funzione dell'oggetto materiale che si produce.

Ma stavolta succede una cosa curiosa. Davanti al pasticciaccio brutto degli attacchi al Papa e a Napolitano gli esponenti dell'Italia dei Valori dicono: "lei (la Guzzanti) non è noi, ci dissociamo, parliamo d'altro". Sanno che il loro elettorato rurale e conservatore quelle cose sul Santo Padre non le digerisce. E' una questione di intolleranza alimentare. Salita sul palco, Sabina ha fatto più male che bene innanzitutto ai suoi compagni di piazza.

In questa manifestazione estiva e digestiva, così, si schiude uno dei segreti della medicina: quello dello stomaco che, pur pieno di succhi gastrici, non si autodigerisce. E perché mai la politica dovrebbe seguire le regole meravigliose e affascinanti, l'architettura portentosa del corpo umano? Così quei settori della politica che abitualmente fanno ricorso all'arma impropria del comico, del magistrato, del pubblico accusatore, stavolta fanno del male a se stessi. Si autodigeriscono.

Wednesday, July 09, 2008

Domani su Canale Italia

Come ai vecchi tempi. Domani mi trovate dalle 7 alle 8.30 su Canale Italia, nello spazio di informazione e approfondimento "Notizie Oggi", con la rassegna stampa del mattino condotta da Giuliana Lucca. Sarò in collegamento da Roma.