Monday, August 28, 2006

Photos / Boston University


Ingresso del dipartimento di storia... la porta a destra dello "stop"



Commonwealth Avenue



Case per studenti in Bay State Road



L'ingresso del College of Arts and Sciences



The Castle, facoltà di Giurisprudenza

Sunday, August 27, 2006

Photos / 3


Palazzo in Washington street



King's chapel



Boston subway

Photos / 2


Meraviglioso. Immenso specchio d'acqua e, sulla sinistra, Christian Science Center



Palazzi in Beacon street



Massachusetts state house



Chiesa in Boylston street

Photos / 1


L'ostello



I pompieri



Chiesa in Ipswich Street, vicino all'ostello



The walkin' class...

Boston Common

Al giardino pubblico uno scoiattolo ha mangiato una briciola di cookie dalla mia mano. Sapevo che quella anglosassone è la civiltà dei parchi cittadini, ma ogni volta è una scoperta. Milano dovrebbe essere uno scandalo internazionale, tanto è soffocata dal grigio e dall'asfalto. Boston ha un bel parco, il Boston Common, minuscolo rispetto a foreste come Hyde park e, penso, Central park, ma molto ben curato. Bambini giocavano nella fontana e un negretto mentre giocava ballava.

I palazzi della Rivoluzione sono un po' tutti uguali. Una lunga successione di capannoni portuali dove tra una cassa di whisky e il banco del pesce si è fatto l'illuminismo americano, molto pragmatico, molto mercantile. E infatti gli Americani li onorano, ma mentre li onorano ci aprono dentro una quindicina di botteghe per turisti scemi. Mi ha fatto ridere vedere la cupola dorata della Massachusetts State House luccicare al sole come la sommità di una moschea orientale. Davanti stava una bandiera nera a mezz'asta: abbiamo chiesto a un Lincoln che passava di lì con la tuba e il panciotto, e ci ha detto che sventola in memoria di tutti i cittadini americani rapiti nelle nazioni della Terra. Poco più in là, ad un angolo della strada, stavano le grandi vetrine di uno studio Fox.

Saturday, August 26, 2006

O beautiful !


Alle 10, ora della East coast

Gli aerei British Airways sono scomodi e castigati, scrivo coi gomiti stretti al corpo mentre accanto a me una piccola indiana piega con grazia la bustina dello zucchero usata dentro una minuscola lattina. La colazione però è stata buona, e il pranzo accettabile. Mi dicono che è di gran lunga meglio di quello servito sugli aerei Alitalia.
L’inglese è ancora al di là del vetro, quasi impenetrabile, a parte qualche parola-chiave che spunta come un atollo nel discorso e che mi permette di mantenere un dialogo elementare. Prima in aeroporto mi hanno chiesto se portavo liquidi e gli ho risposto malamente che non ne portavo, a parte quelli che ho in corpo. La battuta era così, ma l’importante era riuscire a spiegarmi. Loro hanno sorriso.


Stasera, ora della East coast

L'America è come me la aspettavo. E Boston è anche più bella. Stasera brillava tutta, nel buio, mentre le chiese gotiche vegliavano scure. L'America è come ricoperta di una patina speciale. Tutto ha qualcosa di fluido, easy-going. Sì, i palazzi sono immensi e le strisce pedonali si piegano alla curvatura degli stradoni come passerelle... ma c 'è qualcosa di più delle dimensioni, che impressionano noi Europei. E' che una civiltà in espansione e sperimentazione ha modellato una nazione in modo unico e meraviglioso.

Siamo scesi alla stazione e le guardie facevano paura davvero. Muso duro. Ho sorriso pensando all'abbundado di italica memoria. Una guardia-donna, corpo da atleta tedesca dell'est, girava impettita di fronte agli sportelli della dogana. Gli altri mi hanno riservato uno sguardo severo... poi via, siamo dentro, eccoci. Abbiamo preso il taxi, e guidava un simpatico americano di adozione (ma chi non lo è?) dai lineamenti sudasiatici. Tutti qui dicono: "it's all right", "no problem", "you're welcome", "we'll do our best". Sempre. Niente Suv, troppo californiani, niente utilitaria, troppo europea. A Boston solo berline. E' nella berlina la chiave per capire la natura un po' ambivalente di questa città, protesa verso l'oceano ma coi piedi piantati nel continente americano.

Sui milk-shake di Donkin' Donuts sta scritto: America runs on Dunkin. Ci siamo battezzati con una ciambella. Buonanotte

Wednesday, August 23, 2006

Giavazzi-Gate per Padoa Schioppa

Al Ministro dell'Economia non piacciono le osservazioni di Francesco Giavazzi, editorialista liberal del Corsera. Che sabato ha scritto in prima pagina: ci vuole coraggio nel tagliare la spesa pubblica. Questo perché il ministro, a Cortina (ancora una volta...) aveva detto: non voglio sentir parlare di tagli.


Ma Padoa Schioppa è un permalosone. E allora? Prende carta e penna, anzi, la tastiera. E scrive a Giavazzi (e a 92 amichetti del circolo dell'alta finanza).



Oggetto: parole a Cortina
“Caro Francesco, se tu vi avessi assistito o ti fossi documentato (magari alla fonte), sapresti che anche nell’incontro con Montezemolo a Cortina, come tutte le volte che ho parlato o scritto in questi tre mesi, ho sostenuto la necessità di una forte correzione di bilancio compiuta soprattutto dal lato della spesa, riformando i quattro grandi comparti dai quali essa scaturisce: funzioni dello Stato centrale, rapporti finanziari tra questo e i governi locali, previdenza, sanità. Un’operazione ardua, non intrapresa da anni o decenni, di cui Luigi Spaventa o Tito Boeri sembrano comprendere la difficoltà, mentre tu continui a presentarla ai tuoi lettori col leitmotiv della mancanza di ‘coraggio’. Vuoi non riforme, ma tagli, la parola tanto amata dalla demagogia del cambiamento facile come da quella dello status quo. Per compiacere un tipo di pubblico che conosco bene anche io, hai dunque commesso due falli gravi: hai alterato i fatti e presentato una analisi superficiale. Capisco il bisogno del Corriere di riconquistare le copie perdute a favore del Giornale e di Libero, ma non che, nell’essere – forse involontariamente – partecipe di questa operazione, tu metta a repentaglio la tua reputazione di onestà intellettuale e di buon economista. Un saluto, ciò non ostante, cordiale”.
Tommaso


Piccata (e gelidamente distaccata) la replica di Giavazzi:


“Egregio ministro, Penso che su un argomento come quello da Lei sollevato e in considerazione
della funzione che Lei ricopre, le discussioni debbano avvenire pubblicamente. A maggior ragione dato che, come sempre, avevo manifestato il mio punto di vista sul Corriere della Sera, per me sede naturale di tante discussioni. Sono perciò esterrefatto dal leggere l’espressione della Sua contrarietà e la Sua meschina insinuazione – tanto assurda da ricordare un linguaggio che si usava nell’Unione Sovietica degli anni Trenta – in un e-mail che Lei ha ritenuto di dover inviare a 92 illustri persone in Italia e all’estero. Non sento alcun bisogno di difendere la mia reputazione: sono dodici anni che scrivo sul Corriere della Sera, indipendentemente dai governi, dai presidenti del Consiglio, dai molti ministri e anche dai direttori del Corriere ai quali sono grato per la libertà che mi hanno sempre dato. Sulla sostanza del suo dissenso quello che io comprendo è che per Lei il problema del controllo della spesa pubblica si riduce a varare ampie riforme. Mi pare scontato ma di questo sinora non abbiamo visto alcun segnale concreto. I segnali sono importanti. Se il ministro Bersani o il viceministro Visco si fossero limitati a mettere allo studio ampie riforme delle professioni o del fisco, anziché varare qualche provvedimento concreto, oggi saremmo ancora a discutere. Quanto alle riforme, il Suo ruolo è cruciale in quanto il Ministro dell’economia, diversamente dai suoi colleghi, è l’unico ad avere interesse per la riduzione e l’efficienza della spesa pubblica. Quali sono stati, al di là delle affermazioni di principio, i passi concreti che Ella in questi mesi ha compiuto affinché su scuola, pensioni, sanità, pubblico impiego, enti inutili, finanza locale ci si incammini sul binario che Ella auspica?”.
Francesco Giavazzi

Entrambe le mail sono tratte dalla prima pagina del Foglio, presto ripreso da alcuni quotidiani.

Ce n'è abbastanza per un Giavazzi-Gate (magra speranza...): malignità, meschinerie, ma quel che è peggio totale mancanza del senso del proprio ruolo, velleità oligarchiche e anche un po' autoritarie. Un intervento intimidatorio, altro che lo strapotere berlusconiano di cui lo stesso Corriere cianciava fino a pochi mesi fa. E, nello stile dell'attuale Governo, del tutto esoterico, mellifluo, ipocrita, nascosto dietro alle parole accomodanti del "governare insieme" e del "tenere unito il Paese". Non solo. Preoccupa il dispregio dell'opinione pubblica, specie di quella di orientamento moderato, dipinta, con il consueto odio antropologico, come una massa di inutili pecoroni buona soltanto a fregare copie al Corriere (ma Gianni Riotta non ci aveva assicurato che no, anzi, il Corriere andava meglio che mai?)

Tuesday, August 22, 2006

Hamas come i Cristiani rinati? I dubbi amletici di Sergio Romano

Rossellini, Pintor, Scalfari, Montale, Ungaretti, Buzzati, Luzi, Aleramo, Brancati, Antonioni, Vittorini. E altri. Perché fu facile per tanti intellettuali italiani passare dall’adesione spesso incondizionata al fascismo alla militanza comunista? Se lo chiede Mirella Serri, nel suo libro “I redenti. Gli intellettuali che vissero due volte 1938-48”. Prova a fornire delle risposte l’editorialista del Corriere ed ex-ambasciatore Sergio Romano, intervenuto sabato sera al PalaVolkswagen. «Il problema non è il loro spostamento di fronte, ma che furono pronti a mentire sul proprio passato senza rimorsi, senza esami di coscienza. In effetti erano tutti fascisti di sinistra: credevano cioè nella necessità di una seconda rivoluzione. Furono contrari all’alleanza con Franco, erano più totalitari che autoritari, avversi ai poteri tradizionali come la Chiesa, la monarchia, l’esercito. Ritenevano necessario un ruolo preminente dello stato etico,quello cioè dotato di una morale e che pensa per i cittadini. Non è difficile dunque capire come abbiano potuto spostarsi a sinistra. Solo, dovettero pagare lo scotto, che veniva loro richiesto da Togliatti, di liquidare il fascismo dandone una immagine univoca e semplificata: l’ultimo “colpo di coda” del capitalismo, della reazione, prima del trionfo del proletariato».

«Ci sono mai stati dei giudizi di cui si è pentito, come quello su De Gaulle o su Gorbacev?», chiede Marina Valensise, giornalista del Foglio. «Ho sbagliato su De Gaulle, non ritenendolo in un primo momento quel grande leader che è stato. Su Gorbacev invece non cambio idea. Continuo a credere che abbia sbagliato quasi tutto: era un comunista e ragionava all’interno di quell’universo di riferimento. Voleva riformare il sistema, non abbattere l’Unione Sovietica. Poi è successo quel che è successo. E chi è morto nelle guerre che sono seguite, in Cecenia, ad esempio, ma anche nel Kosovo o in Bosnia, è morto perché è finita la guerra fredda, cioè perché è crollata l’Urss». «Sì, ma i Polacchi, gli Ungheresi, i Cecoslovacchi…», risponde la Valensise: «per loro è stata una liberazione». «Non tutti abbiamo la stessa percezione degli eventi storici. Noi pensiamo a loro solo perché ci sono più vicini», replica Romano impassibile.

«Ma questo implica che anche la libertà è un valore relativo… lei dunque relativizza la libertà?», si chiede la moderatrice sconcertata. «Ebbene sì», risponde Romano. L’ex-ambasciatore va in rotta di collisione con la Valensise anche su un altro tema: quello del terrorismo islamico. Rifiutandosi di considerare Hezbollah al fianco degli uomini di Al Qaeda che abbatterono le Torri Gemelle, Romano spiega: «sono due cose diverse. Ha ragione D’Alema: Hezbollah come Hamas è un partito politico, che lotta in nome di rivendicazioni territoriali. Hanno al proprio interno un’ala più estremista e una più moderata. D’altra parte, anche in America ci sono cristiani fondamentalisti che credono nella seconda venuta di Cristo in Palestina…». «Sta paragonando i Cristiani rinati al partito di Dio?» chiede interdetta la Valensise. Placida la risposta di Romano: «nel nostro Paese, fino a cinquant’anni fa chi uccideva per onore se la cavava con tre anni. Ricordiamocelo. Tante società sono passate attraverso comportamenti fondamentalisti». FC

© Il Notiziario di Cortina, 2006

Saturday, August 19, 2006

Panella le canta ad Agnoletto: "guai a dire che Israele è uno stato criminale"

A poche ore dalla cessazione delle ostilità tra Israele e le forze di Hezbollah è già tempo di bilanci. Chi ha vinto la guerra? Per Igor Man, esperto di questioni mediorientali, ieri sera al PalaVolkswagen, «aveva ragione Rabin quando diceva: nelle guerre tra eserciti regolari e guerriglieri, i guerriglieri hanno vinto se non hanno perso, gli eserciti hanno perso se non hanno vinto». Come dire: senza vittoria definitiva non è neanche una vittoria, per Israele, che ha dovuto assaggiare i colpi di una forza probabilmente superiore alle attese. E aggiunge: «Hezbollah è una proiezione dell’Iran», D’accordo con lui Carlo Panella, che dalle colonne del Foglio si occupa di Medio Oriente, e che nel suo “Libro nero dei regimi islamici” aveva previsto a mesi di distanza l’attacco sferrato dai miliziani con la complicità di Ahmadinejad. «L’Iran è una cosa diversa da tutte le altre. Non è come la Siria o l’Iraq, regimi di generali o di élite varie. L’Iran è una rivoluzione. Mantiene la capacità di convincere parte del popolo islamico che è possibile imporre un ordine nuovo, di dargli una prospettiva ideologica e totalitaria».

Agnoletto: è anche colpa nostra
«Sì, ma in tutto questo noi occidentali abbiamo delle responsabilità», interviene Vittorio Agnoletto, ora europarlamentare. «Quando l’Occidente faceva affari con lo scià di Persia favoriva la rivoluzione incipiente. Non solo. Abbiamo armato Saddam Hussein, poi i talebani, e ora sosteniamo regimi dittatoriali come Pakistan e Arabia Saudita. Ci siamo fatti un pessimo servizio». Quanto all’attacco israeliano, per Agnoletto «Hezbollah ne è uscita estremamente rafforzata», perché ha guadagnato in termini di visibilità e consenso. «Israele è l’unica nazione che si può permettere di non rispettare le risoluzioni dell’Onu senza che nessuno dica nulla. Abbiamo il diritto di criticarla: ha commesso un vero e proprio crimine di guerra… per giunta inutile». La platea si scalda. «Un conto è dire che sbaglia, un’altra è dare della criminale a una nazione!», si risente Panella; e con lui Elazar Cohen, dell’ambasciata di Israele: «dov’era Agnoletto quando Hezbollah costruiva la sua potenza militare? Cosa ha detto per stigmatizzarlo, in sede europea?» Ma il leader noglobal non si arrende. «Mi piacerebbe che ci fosse un rappresentante palestinese qui che riferisse di quando l’esercito israeliano lo ha allertato: “entro un’ora bombardiamo la tua casa”, ed è dovuto fuggire via». Panella: «ma dove lo trovi un esercito che avverte prima di bombardare?!»

La missione Onu
E ora? Cosa dobbiamo aspettarci con l’invio delle forze di interposizione? Agnoletto è favorevole alla missione Onu, Man contrario perché paventa enormi rischi per i nostri ragazzi. Drastico Panella: «mandiamo un contingente, peraltro senza precise regole di ingaggio, che avrebbe come scopo aiutare l’esercito regolare libanese a disarmare Hezbollah. Col piccolo particolare che, a tutt’oggi, non esiste un esercito regolare libanese». FC

© Il Notiziario di Cortina, 2006

Wednesday, August 16, 2006

Cossiga: andrò in Israele


Francesco Cossiga ha intenzione di andare in Israele. E’ la notizia data al pubblico del PalaVolkswagen che lo ha ascoltato ieri sera in collegamento telefonico. Il Presidente emerito della Repubblica chiamava dall’ospedale di Nuoro, dove si trova ricoverato, forse per una mangiata di funghi, più probabilmente per un problema di pressione alta. «Sai che tra poco vado in Israele?», ha chiesto a Cisnetto. «Appena starò meglio andrò lì in veste di privato per offrire la mia solidarietà al popolo ebraico in tutto il mondo. Sono nato in una famiglia antifascista e come cristiano sento la colpa dei silenzi della Chiesa sull’antisemitismo. Come deciso filo-israeliano sono contrario alla politica di D’Alema, soprattutto dopo aver sentito il suo indegno discorso anti-israeliano alla Camera».

Aforismi cossighiani

«Berlusconi si ritira? Proprio no. Avrebbe lasciato subito [cioè dopo le elezioni], ora non lascerà più. Perché si è divertito a fare molti quattrini e adesso si diverte a fare politica. Ha una grande vocazione imprenditoriale, e adesso può fare l’imprenditore di se stesso».

«L’unico modo per far sì che Berlusconi ascolti un tuo consiglio è dirgli: caro Silvio, come tu stesso mi dicesti…».

«Ai tempi della Bicamerale, la Procura di Milano mandava fax alla commissione per dire che nella riforma non si toccassero i magistrati. Poi la Bicamerale fallì. Questo tanto per ribadire l’autonomia del Parlamento».

«Ho solo due cose da rimproverare al Sismi. La prima è aver sacrificato Calipari per la Sgrena. La seconda è non aver dato alcuna medaglia agli Americani per aver sequestrato Abu Omar. Come ha detto un papa del Novecento: i servizi segreti se non sono segreti sono solo servizi. Cioè dei cessi».

«Israele? Ma come vi comportereste se la Slovenia tirasse dei missili su Trieste? E come si comporterebbe il nostro governo? …Beh, quello si arrenderebbe subito».

«Le Nazioni unite sono ridotte a un’ombra per colpa di quel segretario opportunista che è Kofi Annan. Berlusconi nuovo segretario Onu? No. Se eleggeranno un europeo c’è già pronta la candidatura di Tony Blair».

«La riforma di Bersani, sì, l’avrei votata, ma solo come primo passo. C’è bisogno di una seconda serie di provvedimenti, se no può dare adito al sospetto di essere una misura punitiva».

«Un voto al Governo Prodi? 5 e mezzo. Ma con quel voto si è promossi… Almeno, lo si era ai tempi miei».

«L’attuale governo non durerà cinque anni perché non conviene neanche a Prodi. Durerà al massimo due o tre anni. Salvo che Casini non faccia il Garibaldi e dica: obbedisco». FC

© Il Notiziario di Cortina, 2006

Sunday, August 13, 2006

Dicono di Cortina


Reportage di Umberto Pizzi su Dagospia.com. Si parla di Cortina, del ministro e di Montezemolo. A questo indirizzo. Certo che le scarpette delle signore ministre...

Saturday, August 12, 2006

Economia / Montezemolo al Governo: siete ideologici. Padoa-Schioppa: non più


«Chiederei a Padoa-Schioppa di spiegare ad alcuni esponenti del suo governo che le buone riforme fatte dai governi precedenti non devono essere cancellate». Così il presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo, ieri insieme al ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa al PalaVolkswagen. «Come industriali siamo preoccupati per un clima che non ci piace, di estraneità ai valori del mercato, della concorrenza, della meritocrazia, che coinvolge la sinistra e alcuni settori della destra. Al Governo chiediamo scelte coraggiose, che vadano nel senso di quelle prese dal ministro Bersani: tagli alla spesa e ai troppi sprechi, rinuncia a nuove tasse, più risorse per le infrastrutture e la ricerca. Ci sono segni di ripresa che seppur non consolidati sono incoraggianti».

«Sì, ma non bisogna confondere la ripresa con la crescita», risponde il ministro. «Può esserci un momento favorevole pur all’interno del quadro di un’economia che da dieci anni a questa parte ha rallentato. E’ inoltre tutto da valutare l’incremento delle entrate fiscali: 19 miliardi mi sembrano una cifra iperbolica». Il ministro ha poi voluto rispondere alle preoccupazioni degli industriali sull’atteggiamento ideologico del Governo: «siamo diversi dal precedente governo di centrosinistra, quando era possibile ravvisare un’ostilità verso il mondo dell’impresa. La sfida, oggi, è ricreare un corpo di industrie medie e grandi» che si affianchino alla miriade di piccole e piccolissime. Certo, anche le imprese stesse devono fare la loro parte: «è necessario che si spersonalizzino – spiega, riscuotendo il consenso di Montezemolo – che smettano di essere la proiezione esclusiva del proprietario-fondatore». Infine, un lapsus (freudiano?) del Presidente di Confindustria: «le forze politiche devono mettersi insieme per cambiare questo governo! …scusate, questo Paese». FC

© Il Notiziario di Cortina, 2006

Friday, August 11, 2006

Audio-intervista a Magdi Allam

A questo indirizzo una bella intervista audioregistrata a Magdi Allam, dal blog Passi nel deserto. Magdi tocca anche temi religiosi e culturali, specie nei rapporti tra Islam e Cattolicesimo. Per questo, e per la consueta lucidità e preparazione dell'intervistato, la consiglio a tutti i lettori del blog.

Il quasi-attentato del 10 agosto

Tra meno di quindici giorni ci saremo noi, io e Giorgia, su quegli aerei, che tutti i giorni fanno la spola tra Heathrow e Boston. Difenderemo il nostro diritto alla normalità, a viaggiare, a spostarci. Ma, si sa, siamo a rischio, come è a rischio Cristiano tutte le mattine quando per andare in facoltà prende la Metro, linea blu, come è a rischio Guja quando torna dalle vacanze esotiche con la famiglia, come Giulia, come Mario che ieri viaggiava su un treno tra Bologna e Napoli, in una tratta ad alta percorrenza, come Anna, che la settimana scorsa passava il confine tra Italia e Vaticano e andava a riposarsi all'ombra del colonnato del Bernini; come Francesca, che l'altra sera veniva a sentire Magdi Allam in un PalaVolkswagen circondato da imponenti misure di sicurezza; come i miei vicini di casa padovani quando la domenica vanno a sentir messa al Santo. Non c'è discrimine tra noi e il fronte, tra il campo di pace e la trincea.

In queste ore convulse, le parole più sensate sono quelle di Androide:

«mi preme far notare che in Italia si sta cercando di trascinare in tribunale alcuni agenti segreti che ci hanno liberato della non gradita presenza di un imam, i quali agenti sono per estensione dei colleghi di quelli che hanno sventato gli attentati a Londra».

Medio Oriente / Magdi (come al solito) è una luce nelle tenebre


Israele ha diritto a esistere. Parole di chiarezza, in questi tempi incerti, da Magdi Allam, vicedirettore del Corriere della Sera e autorevole esperto di problemi mediorientali. Parole perentorie, in particolare, sul conflitto che sta coinvolgendo lo stato israeliano da quasi un mese: «Hamas ed Hezbollah hanno promosso una serie di attacchi rispettivamente dalla striscia di Gaza e dal territorio libanese, culminati il 12 di luglio scorso. C’era una precisa strategia patrocinata da Iran e Siria per far deflagrare il Medio Oriente e distogliere l’opinione pubblica mondiale dai loro problemi interni. Per giungere, in ultima istanza, alla distruzione di Israele». Dal palco di un PalaVolkswagen stracolmo, Magdi paventa un rischio concreto e terribile: «se Israele non dovesse riuscire a garantire la propria sicurezza, potrebbe sentirsi tentata dall’agire in modo più drastico», spiega, riferendosi all’opzione del nucleare. «E’ un’eventualità che dobbiamo scongiurare in ogni modo, sostenendo con fermezza Israele e il suo diritto a esistere».

E’ una guerra, spiega, che si combatte su tre fronti: quello militare, quello diplomatico, quello mediatico. «Quest’ultimo è quello che maggiormente incide», afferma: «c’è una cappa di mistificazione della realtà di livello inaudito». E’ di questi giorni la notizia del fotografo della Reuters licenziato per aver falsificato delle fotografie in cui aggiungeva missili israeliani con un rozzo fotomontaggio. Allam invita a fare chiarezza: «i 3000 razzi inviati contro Israele avevano il deliberato intento di massacrare la popolazione israeliana; le vittime libanesi, che sono egualmente da piangere, sono frutto di errori», commessi nell’intento di colpire obiettivi militari. «Questa – commenta – è la sostanziale differenza».

Ma c’è lo spazio anche per una riflessione sulla politica di casa nostra. Amara esperienza, quella di Allam, che di fronte alla proposta di candidarsi con Forza Italia alle passate elezioni per dirigere un ipotetico “Ministero dell’integrazione e della cittadinanza” si è visto sbattere la porta in faccia. «C’è stato un veto personale dell’ex-Ministro dell’Interno Pisanu, che si era risentito per alcune mie critiche. Il problema è che in Italia manca il senso dello Stato e gli statisti in grado di capire che l’integrazione degli immigrati è un processo lungo, i cui frutti non si raccolgono nell’arco di una legislatura».

Dall’altra parte, del resto, non va meglio: «il Sindaco di Padova e il capogruppo dei Ds in comune hanno proposto di affidare la sorveglianza della famigerata via Anelli ad extracomunitari: una scelta estremamente grave, perché così lo Stato rinuncia alla propria sovranità». Così, di fronte alla cronica miopia dei nostri politici, Allam ha in mente di promuovere a breve «un movimento per la vita e per la libertà, un’aggregazione forte che nasca con lo scopo di diffondere l’informazione veritiera». Ma, conclude, «il movimento avrà anche un necessario risvolto politico». FC

© Il Notiziario di Cortina, 2006

Bonino: misure antidumping contro la Cina. Sì alla Turchia nella UE

Misure doganali contro il dumping dei prodotti cinesi. E’ doveroso, secondo Emma Bonino, Ministro delle politiche comunitarie (ieri al PalaVolkswagen), proteggere il settore delle calzature dall’invasione dei mercati asiatici. Il dumping è quel fenomeno per cui un prodotto è disponibile a prezzi talmente bassi da azzerare ogni possibile concorrente nell’acquisto: in pratica, quel che succede da qualche anno ai danni dei calzaturifici veneti, e più in generale italiani (l’Italia da sola contribuisce per circa la metà nel settore calzaturiero in Europa). Per arginarlo, il ministro ha proposto dazi del 16% sulle calzature di importazione extra-comunitaria.

Ma c’è già un no, che pesa: è quello dell’Unione Europea, che chiamata a deliberare sulla proposta l’ha bocciata, con undici voti a favore e quattordici contrari. E questo anche perché «i Cinesi hanno fatto un’azione di lobby a tappeto», prevenendo molti Paesi dal danneggiarli commercialmente. «Questo la dice lunga sulla “solidarietà europea”», commenta amara la Bonino, che però aggiunge: «ma non sta a noi scagliare la prima pietra, anche l’Italia spesso non si è comportata bene».
A proposito di Cina: ma non è che voi Radicali, ora che siete al governo, vi siete scordati i diritti umani? Ma no, risponde la Bonino, «è che ci sono diversi modi di imporsi, e isolare un Paese non sempre funziona. Pensiamo alla Corea del Nord, che si giova del totale isolamento internazionale».

Sì alla Turchia nell’Unione Europea, dice il ministro, per tre ragioni: la sua posizione di estrema prossimità geografica al continente europeo; la necessità di rafforzare la sua scelta laica e democratica, pur nelle ovvie contraddizioni; l’aiuto che verrebbe dalla Turchia ad integrare i 25 milioni di Turchi presenti in Europa. I rapporti con l’Islam? «Sono un problema politico, non religioso. Il Corano è sempre lo stesso, cambiano i modi di applicarlo. Il re del Marocco ha promosso una legislazione progressista, il regime saudita in Arabia fa il contrario». Quindi? «Quindi bisogna promuovere sistemi politici che non utilizzino il Corano come base legislativa. La vera sfida – ripeto, tutta politica – è tra dittature e società aperte». FC

© Il Notiziario di Cortina, 2006

Wednesday, August 09, 2006

Stringimi forte i polsi

E' possibile provare nostalgia per una cosa che non si ha mai vissuto? Io non c'ero, quando il sole batteva sui viali alberati di Milano nel 1962, e poi nel 63, nel 64, nel 65, mentre le vespine sfrecciavano e il centrosinistra appassiva nell'indifferenza. Sui marciapiedi signore dell'alta borghesia sfilavano col cagnolino in una nuvoletta rosa di Chanel, tailleur, capelloni e occhiali scuri. Il Brasile, Chico Buarque e Antonio Carlos Jobim erano prodotto di importazione, e nella provincia italiana portavano con sè un po' di maracas e di malinconia. La contestazione si preparava ma era come un ormone che circola in un corpo giovinetto, inesperto. Tutto mi appare così morbido, musicale, in fondo indifferente. Sorrisi scambiati tra palazzoni cresciuti come funghi, ma chi c'era dice anche nubi tossiche da industrialismo ipertrofico; e quel bianco e nero tendente al grigio che solo la polaroid a colori e poi Bettino Craxi avrebbero spazzato via definitivamente. Io non c'ero, eppure io ho vissuto.

Platinette, pardon, Mauro Coruzzi. «A Cortina? Solo a prendere il pane»


Chi è Mauro Coruzzi? Eccolo, questo ragazzone un po’ villoso, sul palco del PalaVolkswagen mentre canta Mina a petto nudo, bretelle e calzoni scuri, accompagnato da un elegante pianoforte a coda, gli occhi socchiusi, quasi pudichi. Chi lunedì fosse entrato in sala alla fine della serata, dopo che il signor Coruzzi, in arte Platinette, si era già levato il completino rosa a pois bianchi e la parrucca biondissima, si era struccato e rivestito da uomo, si sarebbe chiesto in che posto fosse mai capitato. Invece è stato questo l’epilogo a sorpresa dell’incontro-confessione cortinese di Platinette, che ha bissato il successone dell’anno scorso.

Una serata anomala, a cavallo tra lo chic e il nazionalpopolare, tra la risata e la commozione, fitta di suggestioni autobiografiche un po’ felliniane, e biciclette e filobus che si perdono nella nebbia della campagna parmigiana. Si era presentata gorgheggiando “Son magra più che maaaai” (ma chi ci crede?) sulle note di “Strangers in the night”. Poi apre il cassetto: la famiglia contadina, lo spostamento in città, la madre operaia «rigorosamente non sindacalizzata, che lavorava come un’ossessa»; il ’68 vissuto da giovanissimo liceale, «con il razzismo alla rovescia per cui se non eri di sinistra non contavi»; quella serata al concerto di Mina con la mamma, «la più bella della mia vita», quando la Tigre di Cremona girava ancora la provincia italiana con i suoi concerti, e poi l’amore semi-clandestino con un chirurgo affermato, ora finito.

«Sono incapace di amare – confessa – nessuno mi sopporta per più di due giorni. Perché l’amore di certe madri è talmente incommensurabile che rende tutti gli altri impossibili». Ma anche gli anni Ottanta vissuti pericolosamente: «ho fatto la vita, usavo un travestimento e conducevo inchieste “on the road” per un mensile omosessuale». I clienti? «La maggior parte venivano dai prosciuttifici, sai, c’avevano ancora quell’odorino di maiale…»

Mauro, di nuovo a Cortina. Ci fai un ritrattino delle signore che fanno lo struscio sul corso?
«Cortina? Ci sono venuto a prendere il pane qualche volta…»
Cosa intendi?
«Che questo tipo di turismo è tutto quello che io non conosco, non avendolo mai praticato, non avendo case meravigliose da aprire agli amici; ho soltanto un bilocale condiviso a Riccione, in collina peraltro, neanche vicino al mare, dove porto i miei amici e le mie amiche quando andiamo a fare le notti fuori di testa, quelle che mi piacciono tanto».
Insomma, Cortina è un altro standard…
«Mi incuriosisce però, perché ho l’idea che quella cortinese sia una bella maniera di vivere. Ci vogliono però gli altri mesi dell’anno, per fare Cortina, e io non ce li ho… quindi sarei un po’ un intruso».
Hai parlato dei segreti inconfessati delle famiglie borghesi…
«Dici che qui ce n’è molti?»
Mah…
«Allora bisognerà indagare…» FC

© Il Notiziario di Cortina, 2006

Tuesday, August 08, 2006

Nous ne pouvons plus choisir nos problèmes


Ho cambiato la frase che fa da intestazione al blog. La precedente ("nella nostra società, che ha abbandonato Dio, non esistono più tragedie, ma solo grandi drammi") era tratta da un film di Tanovic, "L'enfer".

Quella che campeggia ora viene dall' "Uomo in rivolta" di Camus, e stava su una splendida inchiesta sul senso dei nostri tempi apparsa sul Foglio a fine dicembre 05, a firma di Alain Finkielkraut, dal titolo "Noi, i moderni".
Camus ha compreso con lucidità l'assenza di alternative che caratterizza la nostra epoca. Orwell, uomo del Novecento, aveva constatato la necessità di un impegno politico e sociale dell'intellettuale, nel segno di un'opzione. E' stato socialista contro il nazifascismo, democratico contro la minaccia comunista. Ha rinunciato alle torri d'avorio e ai dogmi filosofici e ha scelto di venire a patti con la realtà.

Il Novecento è stato il secolo della scelta obbligata tra alternative di vita. L'Occidente ha fabbricato i suoi demoni. Ora queste scelte ci piombano addosso e non c'è alternativa, se non tra l'azione e l'inazione, tra il volere guardare i problemi e il respingerli, tra la presa di coscienza e l'abdicazione della coscienza.

Forse l'urgenza delle decisioni e la gravità degli eventi porteranno a un ricambio. Per ora danziamo sul ciglio di un burrone. Leggiadri e incoscienti.

A proposito di CDL / Fini come Manzoni: cari leader, non fate i pollastri

«I leader della Casa delle Libertà devono capire che non è il momento di fare i Polli di Renzo». Usa una metafora di manzoniana memoria Gianfranco Fini, per ammonire i colleghi del centrodestra, e forse in particolare l’ambiguo alleato democristiano, in queste settimane tentato dalla prospettiva di una grosse koalition all’italiana per soccorrere la fragile maggioranza di Romano Prodi. Non fare, cioè, come i polli che mentre venivano portati da Renzo Tramaglino all’Azzeccagarbugli non trovavano di meglio da fare che beccarsi vicendevolmente.

«Centrodestra unito contro Prodi»
«Dobbiamo lavorare insieme perché il governo Prodi duri il meno possibile – spiega Fini, intervenuto venerdì al PalaVolkswagen – anche perché credo che i nostri elettori tutto vogliano fuorché vedere comportamenti che favoriscano il centrosinistra». Detto questo, «la nostra resta un’opposizione intelligente, perché dire sempre “no” è sbagliato», e cita il voto favorevole della Cdl al rifinanziamento della missione in Afghanistan. Va giù duro sull’Unione al governo: «sta facendo una politica di sinistra radicale, di classe, ideologica, e sono certo che alcuni elettori di Prodi, magari già indecisi, se potessero rivotare, cambierebbero scelta». Glissa di fronte alle pungenti domandine di Cisnetto, Verderame e Calabrò (E’ vero che ci sono stati degli scontri interni sulla leadership del centrodestra? Il prossimo candidato della Cdl sarà ancora Berlusconi?), ma è chiaro sulla prospettiva in caso di caduta del Governo: «si deve tornare a votare».

«Amato non cancelli la nostra legge»
Quanto al voto agli immigrati, Fini conferma quanto detto in mattinata, quando visitando il “ghetto” padovano di via Anelli (e ricevendo alcuni insulti in una lingua incomprensibile) aveva sottolineato la mancata integrazione di tanti gruppi extracomunitari: «c’è una pervicace volontà di ostentare un’identità opposta a quella italiana. Dare la cittadinanza non significa automaticamente realizzare l’integrazione, perché quando si concede un diritto si deve chiedere un dovere». A questo proposito, Fini si dice «preoccupato di fronte all’intenzione del ministro Amato di smantellare il pilastro della legge Bossi-Fini, cioè il permesso di soggiorno solo a chi è in possesso di un contratto di lavoro». Infine, una dichiarazione che dà il senso di quanto i tempi dell’MSI, checché se ne dica, siano lontani: «l’Italia deve darsi un modello politico di stampo europeo, del tipo moderati e liberali contro socialdemocratici… Che cos’è il Partito popolare europeo se non l’ideale contenitore delle forze della Cdl, e cioè Alleanza Nazionale, Forza Italia e UDC?». Poi, a distanza di ventiquattr’ore, lo stesso Fini spiegherà al “Giornale” che sì, insomma, dei democristiani nel partito unico si può anche fare a meno… Ma questa è un’altra storia. FC

© Il Notiziario di Cortina, 2006

Monday, August 07, 2006

Verdi / Parla Cento: no alle grandi opere, anche a Cortina. E la sera spegnete la TV

La tangenziale non s’ha da fare. Questo, per chi avesse ancora dei dubbi, il pensiero dei Verdi (e forse del Governo), ben rappresentati nella Conca dalla visita dell’On. Paolo Cento, Sottosegretario all’Economia. Intervenuto al PalaVolkswagen sabato sera, Cento si è difeso dall’accusa di essere troppo “radicale” per occupare un posto di governo: «anche molti moderati votando Berlusconi hanno fatto una scelta “radicale”. E se essere radicali vuol dire fare ancora politica secondo grandi ideali, allora sì, noi Verdi siamo radicali». Netta la posizione sulle infrastrutture: «diciamo no al megatunnel della Torino-Lione, meglio un potenziamento della rete ferroviaria esistente in Val di Susa»; no al ponte sullo Stretto, «il Sud ha altre priorità»; no anche al nucleare, «noi proponiamo la costruzione di almeno un milione di pannelli solari… e quando andiamo a letto lasciamo la TV spenta, anziché col “pallino rosso” acceso».



On. Cento, sappiamo che il progetto di tangenziale del centro abitato è stato fortemente voluto dal precedente governo di centrodestra. Dobbiamo quindi attenderci dal nuovo esecutivo un atteggiamento diverso?

«Ho seguito le battaglie condotte dall’On. Zanella, del mio partito, contro il progetto di tangenziale, e condivido la sua posizione. Non conosco nei dettagli il progetto ma credo che abbia un impatto ambientale, sociale ed economico insostenibile, e che quindi vada almeno almeno sospeso e rivisto. Cortina è un luogo a cui sono molto affezionato perché ho passato parte delle mie vacanze da piccolo qua. Credo che il futuro di Cortina non sia quello di un’opera del genere ma passi per la valorizzazione delle sue immense risorse naturali, che sono anche la ragione per cui ogni anno centinaia di migliaia di turisti vengono qui o passano per questa valle».

L’altro giorno il portavoce del Presidente Galan ha portato al Comune di Cortina l’appoggio della Regione Veneto per la realizzazione della tangenziale…

«Non è la prima volta che abbiamo un’opinione diversa rispetto al Presidente Galan».

E chi pensa che la spunterà, in questo braccio di ferro?

«Adesso vediamo. Il confronto si svolgerà attorno a un tavolo: in quella sede noi sosterremo con molta determinazione la posizione dei Verdi, che è anche quella di tanti comitati di cittadini di Cortina oltre che di tanti villeggianti». FC

© Il Notiziario di Cortina, 2006

Friday, August 04, 2006

Televisione / Cara, vecchia (muffita) TV di qualità

«La verità è che il cinema in prima serata non fa più audience. Per questo abbiamo abolito l’appuntamento storico del lunedì sera con i grandi film. La gente preferisce guardare la fiction». Tocca a Fedele Confalonieri, pragmatico Presidente Mediaset, infrangere le illusioni del pubblico che dalla platea del PalaVolkswagen reclama per i piccolo schermo più cultura e meno reality, più informazione e meno pubblicità, più musica e meno fiction TV.
E riecco il tormentone: la TV di una volta era migliore, ovvero: si stava meglio quando si stava peggio? A chi rimpiange «la pellicola di qualità del lunedì sera sul primo canale», Confalonieri chiede polemico: «sì, e voi ci tornereste al film scelto e imposto da Ettore Bernabei? Suvvia… oggi c’è più scelta, più libertà di cambiare canale».
«C’è un problema: la fascia culturalmente medio-alta del nostro pubblico non trova risposte soddisfacenti nella televisione “classica”», spiega il Ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni. Per questo «ci vogliono strumenti più efficaci di misurazione della qualità: penso ad un secondo indice, oltre a quello di ascolto, che misuri il gradimento e il livello qualitativo dei programmi». Soprattutto, «bisogna imitare il modello tedesco, dove solo il 7% degli introiti della televisione pubblica viene dalla pubblicità. L’Italia vive invece la gigantesca anomalia di un servizio pubblico pagato per metà dalla raccolta pubblicitaria. Quando la Rai sarà finanziata per la maggior parte dal canone – conclude – avrà più coraggio di fare TV di qualità». Applausi scroscianti del pubblico. Ma Confalonieri non ci sta. Rivolto alla platea: «ma cos’è tutta questa puzza sotto il naso… sembrate gente che dopo una giornata di lavoro torna a casa e vuole guardarsi l’Apologia di Socrate. La verità è che quando Siciliano provò a mandare in onda il Macbeth alle 19 si giocò il posto di direttore RAI». Insomma, sono i reality la nuova “araba fenice” (come il voto per la DC nella prima Repubblica): tutti li guardano ma nessuno lo ammette. FC

© Il Notiziario di Cortina, 2006

Infrastrutture / Le tre "T" di Cortina: Trenino, Telepass, Troppi tir

Comunque vada a finire, sembra proprio che nei prossimi anni il tragitto città-Cortina sia destinato ad accorciarsi. Da una parte, infatti, c’è la Regione Veneto, che spinge per superare l’ostilità di associazioni ambientaliste come Legambiente, che nei giorni scorsi ha assegnato la bandiera nera alla Regina per i suoi progetti di tangenziale del centro abitato. Nelle parole di Franco Miracco, portavoce del Presidente Galan: «in Regione abbiamo intenzione di andare avanti, perché è barbaro e scandaloso che Cortina manchi in questo modo di infrastrutture di collegamento». Come dire: noi ci siamo, il Comune ci segua. E Miracco lancia anche la proposta: ripristinare il tratto ferroviario Pieve-Cortina. Il vecchio trenino, quello che cessò le sue corse nel lontano 1962? «Perché no, è una soluzione interessante, magari da realizzare con il concorso dei privati», sempre tenendo presente che «la circonvallazione va fatta», e che quindi l’uno non sostituirebbe l’altra.

«Telepass istantaneo»
Dall’altra, c’è il presidente della società Autostrade, Gian Maria Gros-Pietro. Che ai giornali ha dichiarato di volere fermamente la prosecuzione della A27 dall’attuale Pian di Vedoia anche oltre l’obiettivo previsto, cioè Macchietto. E che dal palco del PalaVolkswagen, martedì, ha parlato delle nuove frontiere della tecnologia “Telepass”, il sistema che permette di snellire le code ai caselli attraverso l’addebito automatico sul conto in banca del proprietario della macchina.
«Il problema con il Telepass è proprio che per averlo bisogna disporre di un conto corrente; per questo, abbiamo pensato a un Telepass prepagato», che quindi funzionerà come le schede ricaricabili del telefonino. Ma la vera novità è quella che in Austria stanno già sperimentando a livello di traffico pesante: il nuovo Telepass, spiega Gros-Pietro, sarà in grado di abolire del tutto i caselli. «Un grande arco, che registra il passaggio senza obbligare i veicoli a rallentare, in grado di “comunicare” con il Telepass all’interno dell’abitacolo». Niente più barriere, niente code, o quasi. A risposta negativa dell’apparecchio, infatti (e cioè se il pedaggio non dovesse venire pagato automaticamente) l’arco invierà la foto della targa alla polizia, che si metterà sulle tracce della macchina.

Il Sindaco Giacobbi
Intanto, il Sindaco di Cortina, Giacomo Giacobbi, presente all’incontro, incassa l’appoggio del presidente Galan al progetto di circonvallazione («lo sapevamo, c’è sempre stato») e non si lascia scappare l’occasione per ricordare che «Cortina ha sempre detto di sì alla ferrovia, anche se non è pensabile che il trasporto su rotaia possa avvenire sulla vecchia sede del treno. Vogliamo solo capire se la Regione pensa al trasporto merci oppure al collegamento turistico Venezia-Cortina». Per quanto riguarda l’annoso problema dell’accesso dei Tir alla valle del Boite, Giacobbi è netto: «non deve succedere che per risparmiare tre euro di pedaggio i Tir “gassifichino” un’intera vallata. Dobbiamo trovare soluzioni alternative». FC

© Il Notiziario di Cortina, 2006