Tuesday, September 11, 2007

Storia e cronaca dopo l'11/09. Una riflessione

Antonio Scurati coglie oggi sulla Stampa una caratteristica inquietante del nostro nuovo secolo da poco iniziato: la scomparsa della storia, divorata dalla cronaca. Il secolo ventesimo, conclusosi (hobsbawmianamente) col crollo del Muro, era nichilista nei contenuti ma epico nella forma, a noi invece non rimangono che le frattaglie, non meno nichiliste e distruttive però. Fin qui sono d'accordo, dal bianco o nero tragico e acuto del secolo trascorso siamo piombati in questa mesta scala di grigi, in questa atomizzazione devastante della vita quotidiana.

Poi però Scurati dice una cosa davvero difficile da condividere: che l'11 settembre non ha cambiato niente. Dichiara: "a molti parve che (...) la storia si rimettesse in moto quel giorno di grande lutto ma anche di grande speranza", e invece da sei anni a questa parte le cose sarebbero le stesse, i problemi e le difficoltà ugualmente banali e insignificanti.

Io nell'11 settembre non ho mai colto la speranza; semmai una nuova consapevolezza, che è cosa buona, e nuovi interrogativi angoscianti e dilemmi, questo sì. Il fatto che non siamo riusciti a trovare risposte universali a tali domande, e che probabilmente non ci riusciremo ancora a lungo, non significa che il nostro tempo non abbia subito una svolta radicale. Lady D, le 35 ore di Jospin, i concerti con Nelson Mandela e tutto la cianfrusaglia pop che allietava le nostre ore nel tempo postmoderno è defunta senza troppi funerali. Se adesso la riconosciamo come tale, e cioè roba vuota, senza spessore, è perchè la storia è venuta a bussare drammaticamente alla porta (come dice la bellissima citazione di Camus nell'intestazione di questo blog). Solo grazie a questa luce che è stata fatta sulle nostre sonnacchiose esistenze tardo-novecentesche bravi narratori come Scurati possono oggi cogliere il senso acuto della crisi. Prima non la vedevamo nemmeno. Eravamo confinati in un universo mondano e sofisticato, illusorio.

Vita, morte, barbarie, civiltà, identità, religione, terrore, speranza, fede: sono queste parole grandissime il nostro pane quotidiano, e se molto spesso nel dibattito pubblico soffrono di un uso strumentale che le rende banali e stucchevoli è anche vero che c'è chi, nel mondo laico e in quello religioso, non si arrende, e va alla ricerca di nuovi significati.
Il fatto è che ora siamo tutti più liberi, e con la libertà è venuto anche il caos, ma forse dal caos si può uscire...

E' per questo che non riesco a capire chi, come il mio professore di Storia Contemporanea, dichiara di non volere abitare nei nostri tempi, di essere "uomo del Novecento": come si può desiderare di tornare ad essere schiavi?

1 comment:

Riccardo Gallottini said...

C'è chi crede in qualcosa e c'è chi crede che si possa credere ma non è obbligatorio.
Schiavi della Chiesa o di un'ideologia sempre schiavi si è!
CIAOOO