La settimana scorsa, quando ero a Cortina, ho preso il cane e sono andato a fare una gita con lui. Mi è sembrato naturale portarmelo dietro, come avevo già fatto, come quella volta due o tre anni fa che andammo in Val Travenanzes e io scelsi un percorso alternativo in mezzo al torrente, e per un gran numero di volte dovetti prenderlo in braccio perché le rocce erano troppo alte, e quasi facevo fatica a saltare persino io. Come quando andavamo sui prati sopra Chiamulera, ad aprile quando la terra è bagnata e molle per la neve che si sta sciogliendo, e io lo aspettavo seduto sotto i due alberelli in cima alla collina mentre girellava nei dintorni. Come le infinite volte che siamo stati nei boschi, e lui ci superava in corsa sui sentieri strettissimi con in bocca un bastone lungo un metro abbondante, e tutti lo maledivano per le botte sui polpacci che ci si prendeva.
L'altro giorno abbiamo varcato l'accesso della Val Travenanzes, in mezzo ai pallidi massi giganti che danno alla zona un aspetto lunare, ma quando l'ho cercato con lo sguardo ho visto che era indietro, venti o trenta metri, ansimante. Faceva finta di annusare dietro a un sasso, di interessarsi a qualcosa sul terriccio, pudico davanti alla propria debolezza come un anziano umano. Ho capito che era abbastanza, sono tornato indietro. E ho sentito il tempo precipitarmi addosso con una certa amarezza. Siamo vicini al momento in cui lui semplicemente lascerà questo tratto in comune che abbiamo segnato, questo decennio abbondante in cui è entrato nella mia vita con la sua presenza discreta ma viva e vivace.
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