Tuesday, April 08, 2008

San Lorenzo

“Fratello, tra un quarto d’ora in piazza a San Lorenzo”. Un sms e stasera si esce con Vanni, con gli strani personaggi suburbani che si porta dietro, con la sua ragazza molisana, Vincenza, che ride e piange con la grazia luminosa di una madonnina del meridione. Quando esco di casa il garzone del bar/chiesa/sala raduni/pizzeria della comunità filippina che ha preso sede accanto al mio portone ha tirato fuori una seggiola e si è seduto a fumare, contemplando la piccola strada angusta, i suoi spazi sordi e grigi. Dalla Prenestina arrivano attutiti i rumori delle automobili in coda. Salto in macchina. Questa sera la fidanzata di Vanni piange e ride più del solito, nel pieno di una sbornia malinconica ha ritrovato il suo ex: lei lo tradì col suo migliore amico, un errore, sì, ma crudele, infame, e così con la schiena curva sotto il peso del senso di colpa la ragazza ascolta i rimbrotti e le amarezze di lui, gridati nel mezzo di un locale di San Lorenzo. Vanni intanto balla, agitando la testa e con essa i folti capelli, gli occhi quasi chiusi, i gomiti puntati avanti e indietro e poi in fuori e in dentro, mimando movimenti e gesti con la serietà di chi fa una cosa per sé, di chi porta avanti un compito, un ruolo esistenziale. Vanni balla da solo; e anche se vive in mezzo alle cose, in mezzo a Roma, in mezzo alla strada, quel ragazzo alto e prestante, con la vocina un po’ stridula che sembra quella di un altro, ha trovato il suo orwelliano ventre della balena, la sua insofferente estraneità al mondo. Un modo di schivare i macigni che stanno sulla via, o se vogliamo di calciare lontano certe domande troppo pesanti che ci ronzano intorno appena cominciamo a crescere, e quindi a soffrire.

Vanni balla da solo, e così blandisce la mia solita timidezza, quella che mi porta a buttarmi in pista sempre per ultimo, allora stavolta ballo anche io un po’ in solitaria, sbronzo come sono, brandendo la Ceres come lo scettro mistico di uno sciamano. Lì vicino c’è Tobias, un amico loro, gay, molto gentile, mezzo brasiliano e mezzo tedesco, mezzo esteta e mezzo nazista. Vanni mi ha raccontato di quella volta che mentre stavano con alcuni amici toscani tutti rossi e filopartigiani Tobias da ubriaco fece il suo doppio outing, lasciandoli muti e sconvolti: “viva Hitler, abbasso gli Italiani traditori del popolo tedesco, e comunque a me piacciono i maschi!”. Un appello assurdo, grottesco, e insieme serissimo, disperato, come forse solo un finocchio può fare. Ora sta là al banco, mite e divertito, pilucca qualcosa, dei salatini, mentre gli occhialetti traballanti gli pendono sul naso leggermente adunco. Da un anno e passa lavora in Italia, a Roma, “l’unica capitale europea dove potrei vivere tutta la vita”, dice. Prima ci avevo parlato un po’, scoprendo che conosce Cortina, e passi, ma che anche Bassano, Schio, Trieste non gli sono estranei. Ama l’Italia e la sua letteratura, anche quell’Aldo Busi che avevo incontrato nel pomeriggio sul 492, mentre parlava cafone al telefonino, a tutto volume. “E’ una checca isterica, Aldo Busi”, dice Tobias.

Vanni continua a ballare, ma ora Vincenza singhiozza, il suo ex deve averle detto qualcosa di brutto. Ce ne andiamo. Poi scopriremo che le ha fatto dei ricatti morali un po’ meschini, ma Vanni è severo, “adesso piange sulle stronzate che ha fatto lei stessa”, dice mentre ci incamminiamo sulla via di San Lorenzo, Vincenza poco più indietro che si fa consolare da Tobias. “Perché sai, io sono tanto sensibile...”, la sento dire. “Io no, a me piace il buco”, risponde Tobias con ammirevole onestà.
Pezzi scombinati e quasi surreali di una notte di primavera a Roma, che si compongono e scompongono con allegra casualità, che salgono liberi verso il buio, mentre il mondo di fuori è remoto e dimenticato.

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