Thursday, March 13, 2008

"Fine" di Prodi?


Il re è morto. Chi era il re? Romano Prodi sta lasciando la politica (ma non del tutto, e non per sempre), e i giornali si sono prodotti in una serie di analisi sul passato e futuro del prodismo come sistema.

1) Prima ci sono stati Fabio Martini sulla Stampa, e soprattutto Edmondo Berselli sulla Repubblica di lunedì scorso: "il prodismo", spiegava Berselli, è stato principalmente "una ciambella di salvataggio di fronte all'avanzata della destra". Dunque se ora l'alleanza ulivista concepita da Prodi scompare, è perché "è stato decostruito lo schema politico" su cui Prodi aveva fatto riferimento, "non c'è più bisogno di organizzare una resistenza alla destra". "E' l'ora di una tardiva secolarizzazione della politica".

2) Oggi sul Foglio parla Francesco Forte, che oltre ad essere stato ministro negli anni ottanta per il Psi craxiano è stato anche professore e intellettuale legato al dotto liberalismo piemontese. Raccontando delle circostanze in cui si trovò a conoscere Romano Prodi, Forte ne disegna un profilo di personaggio serio e acuto. Poi spiega come nacque e crebbe il prodismo e soprattutto i prodiani, attorno alla casa editrice bolognese del Mulino, che sotto Prodi si trasforma da editore liberale con lo sguardo ai cattolici a cattolico con lo sguardo verso i liberali. Avverte però Forte che tanto liberali, soprattutto nei metodi, i prodiani non si dimostrarono; e ripete che no, non siamo alla fine del prodismo. Anzi.

3) Intanto Dagospia pubblica le prime indiscrezioni su che fine faranno alcuni esponenti del clan prodiano, a cominciare da Claudio Cappon e da Maurizio Prato. E' una conferma di quanto dicono tanto Berselli che Forte sulla virtù tecnocratica di Prodi, grande esperto della gestione di pezzi di establishment, della mediazione tra gruppi di potere diversi; e, insieme, della stretta fedeltà politica che lega a lui i suoi diretti collaboratori. Vedi, ad esempio, la levata di scudi di Arturo Parisi alla notizia che Calearo festeggiava la fine imminente del governo; vedi la pronta difesa del fedelissimo Franco Monaco quando si è tentato di accostare prodismo e dossettismo.

Quelli a cui più dispiace che Prodi se ne vada, forse, sono i Radicali. Ci sono alcune ragioni: una, scontata, potrebbero essere i posti rilevanti che avevano avuto modo di occupare in questi due anni all'ombra del ministro Bonino, che non a caso è stata la più docile e meno problematica tra tutti gli alleati di Governo (lo ripete insistentemente Carlo); e non ci sarebbe niente di scandaloso, tranne che questo smentirebbe quanto si è sempre detto a proposito della "differenza" antropologica di Radicali e missini rispetto alle altre etnie politiche. L'altra è più profonda, e riguarda l'obiettivo, la missione che il prodismo, soprattutto in quest'ultima fase politica, si era dato: consolidare l'alleanza trasversale contro un certo tipo di cattolicesimo, a favore di un altro, più "moderno", permeabile e malleabile sul fronte dei valori. "Sono un cattolico adulto", disse con snobismo Prodi; il suo voto al referendum sulla Legge 40 fece scalpore, e così anche la difficile mediazione della cattolica Rosy Bindi a favore dei Dico. I Radicali a questo sistema si accodano volentieri, perché sentono che non è il momento di nuove battaglie sulla laicità, e dunque è meglio, tatticamente, consolidare e difendere quelle già combattute. Insomma: impossibile uno zapaterismo all'italiana, perdente in partenza di fronte al ricco e articolato tessuto cattolico della società, va bene anche il prodismo, che garantisce un sistema di valori molto aperto, quasi remissivo, in tema di diritti, di fronte alle richieste radicali.

"Il mondo è pieno di occasioni dove c'è gente che aspetta aiuto e pace", ha detto con i consueti accenti fanciulleschi e insieme un po' messianici Prodi stesso. Cioè si chiude una fase, anche per un parziale fallimento; ma se ne apre un'altra. Insomma. Prodi non è finito. Il prodismo nemmeno.

1 comment:

CM said...

Mi tiri sempre in mezzo!

:D