In Laici. L'imbroglio italiano Massimo Teodori punta il dito contro "la crociata neo-tradizionalista guidata dagli atei devoti, dai laici pentiti e dai liberali bigotti". Non sono le gerarchie ecclesiastiche e le strutture clericali, come ad esempio la CEI, a sbagliare, spiega Teodori: esse "fanno il loro lavoro". Il danno lo fanno invece i laici che ne supportano le idee, perché si piegano ad un'autorità percepita come straniera rispetto allo Stato italiano. Le idee di Teodori a questo proposito concordano sorprendentemente con quelle di un suo usuale "avversario", Ezio Mauro. A poche ore dall'elezione di Joseph Ratzinger, il direttore di "Repubblica" aveva salutato con tiepido interesse l'avvento del nuovo papa - in questo discostandosi dai commenti lividi sul "nazista" tedesco della sinistra estrema e di alcuni radicali - scegliendo invece come obiettivo polemico i famigerati "atei devoti" (e cioè Marcello Pera, ma anche Giuliano Ferrara e la splendente pattuglia del Foglio), colpevoli, appunto, di servilismo verso la gerarchia; ma anche, e questo è peggio, di "strumentalizzazione" di Dio, della fede, delle cose ultraterrene, a fini invece mondani, come la lotta politica.
Questa raffinata argomentazione contiene però due gravi errori.
Il primo consiste nel tentativo di ridurre la religione cristiana a fatto privato, a mero rapporto personale con una "idea" del divino, a filosofia individuale (Benedetto XVI è molto chiaro a proposito). Ogni sua ingerenza nella sfera dell'azione collettiva, sia attraverso i prelati sia attraverso "liberi battitori" che agiscono all'interno dei suoi vasti confini culturali, viene vista come un'eccedenza rispetto allo scopo per cui essa sarebbe nata, cioè quello di "consolare" nell'intimo l'individuo che teme la freddezza e la durezza di questo mondo. L'obiettivo è privare cioè la Chiesa - che è fatta di religiosi e di laici, scontato ricordarlo - delle sue braccia: che dopo la secolarizzazione consistono ora della sola capacità di persuasione. La religione, insomma, non può fare quello che alle filosofie terrene è consentito fare: convincere, attrarre, condizionare. Essa viene condannata a restare "affare di preti", a chiudersi all'apporto delle coscienze estranee alla gerarchia. Ma la Chiesa è tale solo grazie all'estrema varietà delle anime che la compongono. La segreta armonia che consente a persone e organizzazioni spesso molto differenti e distanti di ritrovarsi poi insieme in un corpo che vive una sola vita suscita negli intellettuali che le sono ostili una certa invidia. Essi possono infatti pensare l'unità solo in termini di stretta uniformità culturale.
Il secondo è sottovalutare pesantemente l' "opzione cattolica" dei tanti laici e atei che ammirano la religione pur non sentendosi obbligati a professarla. Gli individui, cioè, se si riconoscono nel marxismo, nel radicalismo, nell'illuminismo, nel repubblicanesimo, lo fanno secondo una cosciente opzione razionale, mentre se si dichiarano cattolici certo è perché sono condizionati da una credenza irrazionale, da un istinto, o da una consuetudine passiva. O, peggio, da calcoli di interesse. Questa idea è vecchia e smentita dai fatti. Aveva forse un qualche senso finché la cultura cattolica deteneva un predominio assoluto e scontato, quando l'individuo "nasceva a Dio" nello stesso momento in cui metteva piede in questo mondo, quando esso non aveva alternative filosofiche semplicemente perchè non esistevano. Ma è assurda se applicata a intellettuali e filosofi che vi giungono dopo una composita esperienza di pensiero, o a giovani e ragazzi cresciuti nell'annoiata società postmoderna, perlopiù indifferente all'universo spirituale cristiano, e che nell'aderire alla religione cattolica fanno quasi atto di ribellione all'ordinario e alla conformità.
Coloro che accusano gli "atei devoti" di strumentalizzare Dio e la fede farebbero bene a cercare in altre esperienze culturali gli errori che pretendono di imputare loro. Ad esempio, nelle chiese anarchiche e materialiste dei movimenti di liberazione del sudamerica, che concepiscono il cristianesimo come una specie di organizzazione politica, tingendolo cupamente di classismo e di risentimento; oppure, nella tormentata vicenda delle chiese "alternative" (vedi ad esempio la comunità dell'Isolotto di Firenze), che da più di trent'anni pretendono di farne un'associazione pacifista più o meno caritatevole uguale a mille altre, come Emergency o Amnesty. Condannandolo così all'evanescenza.
Wednesday, July 26, 2006
Le solite idee su Chiesa e religione
Pubblicato da francesco c. a 1:38 AM
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