Il brivido eccitante delle superstrade californiane!
Abbiamo il nostro Minivan, un macchinone da otto posti più ampio bagagliaio. Lo paghiamo 1.300 bucks per tredici giorni, divisi in sei persone quali siamo. E' quasi più grande della stanza d'albergo dove alloggiamo qua a San Diego.
Ieri eravamo immersi in una superstrada a dieci corsie: quei serpentoni giganteschi che si arrampicano su per la roccia rossa della California, grandi fiumi di asfalto e grandi macchine con dentro grandi guidatori anglosassoni. La roccia spunta ovunque, anche nel mezzo della città, in grandi blocchi isolati - roccia che ha qualcosa di primordiale, giurassico, macchiata com'è scenograficamente del verde scuro della vegetazione.
San Diego è bella e fredda. Molto linda e curata, fresche le temperature, clima umano poco latino, un po' distaccato. Ho capito davvero che cos'è la California quando siamo usciti dalla superstrada e davanti alle finestre del Minivan sono comparse le decine di villette con giardino che fanno i quartieri residenziali di San Diego, ciascuna diversa dalle altre, ciascuna tutta a sè stante, la propria libera e disordinata vocazione lasciata a svilupparsi in totale assenza di ogni vincolo di coerenza urbanistica: dal tempietto neoclassico alla casa rurale tudor, alla hacienda messicana, alla capanna del New England in legno dipinto, come scherzava Woody Allen in Io e Annie.
Siamo stati all'Hotel del Coronado, quella bella struttura vittoriana coi tondi tetti rossi affacciata sul Pacifico dove Marilyn suonava l'ukulele in A qualcuno piace caldo. Ora ci vengono in vacanza gli Americani della upper-upper-upper-class, che mangiano sushi e sashimi nella sala ristorante mentre le figlie di nove anni pagano il gelato con la carta di credito personale. L'acqua minerale costa 4 dollari a bottiglietta... Ecco, la fichetta San Diego è così: ti inculano, ma con dolcezza.
Sulla superstrada abbiamo raggiunto il confine con il Messico, l'alta barriera grigia che separa il primo dal secondo mondo, un po' come il Canale d'Otranto, ma lì almeno ci sono cento chilometri di acque dell'Adriatico ad occultare pietosamente le differenze tra Italia e Albania. Qui invece il salto è brusco, e dagli USA vedi Tijuana, a pochi chilometri, e le sue casette bianche scrostate, e persino la linda e graziosa San Diego, man mano che ti avvicini al confine, diventa un brutto sobborgo.
Vedo il mondo dalla superstrada, e mi sento, ci sentiamo, straordinariamente liberi, con la nostra macchina-casa che ci portiamo dietro. Domani con la stessa macchina andremo a Los Angeles. Là incontrerò Alfonso, cugino fuggito nel 1990 che non ho mai visto. Sono curioso... Fonsi, chi sei, come sei? Che faccia hai? E' tempo di ritrovare un volto e un frammento di una famiglia fragile e dispersa, di ricomporre il quadro, di far sì che assomigli almeno un po' alle belle famiglie latine floride e numerose come quella di Lorena, che un po' invidio. Non lascerò che il tempo faccia brandelli della mia famiglia sfigata: in questa trasferta americana ho dovuto lasciare qualcosa dietro di me, a Boston, in modo irrimediabile, ma so che qualcos'altro aspetta di essere portato alla luce, a Los Angeles. E' la mia frontiera e il mio riscatto.
Saturday, May 26, 2007
California
Pubblicato da francesco c. a 10:46 AM
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2 comments:
Non ti mancano le chiese medievali del Veneto?
CIAO FRANCI!!!!!!!!!!! TI MANDO UN BACIO!!!!! OGGI QUI CI SONO LE ELEZIONI, FORZA FRANCESCHI! HO FATTO L ESAME DI STORIA è ANDATO BENE. TI ASPETTO PER IL MIO COMPLEANNO, UN ABBRACCIO
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